lunedì 21 settembre 2015

SEI ANNI!

21 settembre 2015

Il mio bisogno di consolazione
(appunti a sei anni dall’inizio di un percorso)

Se io quindi fossi in grado di rifiutare qualsiasi umana consolazione sia per il raggiungimento del fervore, sia per la necessità che mi spinge a cercare Te, poiché nessun uomo è in grado di consolarmi, allora certo potrei sperare nella tua grazia ed esultare per il dono di una consolazione mai provata.
Imitazione di Cristo Libro III. XL,3

Festeggio oggi, 21 settembre (S. Matteo), l’anniversario del mio percorso verso la castità e come è, ormai, consuetudine desidero condividere con gli amici che mi accompagnano qualche breve riflessione che mi aiuti a ricapitolare l’anno appena trascorso.

La mia attenzione, anche sulla scorta della meditazione del pensiero di Benedetto XVI, si è rivolta negli ultimi tempi a due temi particolarmente sensibili e con riflessi significativi l’uno per l’altro: la consolazione e la solitudine.

Benedetto XVI scrive “una delle più profonde povertà che l'uomo può sperimentare è la solitudine” e la definisce meglio come “isolamento […] non essere amati o […] difficoltà di amare” (Caritas in veritate,53).

Altrove parla della solitudine come di una sofferenza che ci sarà sempre e che necessita di consolazione e di aiuto (Deus caritas est,28) e ancora la solitudine diventa una “oscura sensazione” associata alla mancanza di senso (Spe salvi,37).

L’origine è da individuarsi nel rifiuto dell'amore di Dio, nell’alienazione dalla realtà e in un conseguente difetto del pensiero che porta ad un illusoria fuga dalla sofferenza. Illusoria perché la libertà dataci per conseguire il bene è fragile.

Una prima risposta può giungerci da un “approfondimento critico e valoriale della categoria della relazione”, che però non può essere ridotta ad un’interpretazione sociologica, ma necessita di un sano fondamento filosofico ispirato dalla grazia per comprendere “la dignità trascendente dell'uomo”.

Tuttavia “non è la scienza che redime l'uomo. L'uomo viene redento mediante l'amore” (Spe salvi,26) e “la creatura umana, in quanto di natura spirituale, si realizza nelle relazioni interpersonali. Più le vive in modo autentico, più matura anche la propria identità personale. Non è isolandosi che l'uomo valorizza se stesso, ma ponendosi in relazione con gli altri e con Dio” (Caritas in veritate,54).

Anche l’amore umano, in una certa misura “redime”, da un senso nuovo alla vita, ma è fragile, non basta. L’uomo ha bisogno di un amore certo, incondizionato, assoluto da cui nessuno potrà mai separarci. Occorre quindi risanare la relazione primaria con Dio. Quel Dio trinitario che è relazionalità pura e vuole associarci a questa realtà di comunione.

“Dall'amore verso Dio consegue la partecipazione alla giustizia e alla bontà di Dio verso gli altri; amare Dio richiede la libertà interiore di fronte ad ogni possesso e a tutte le cose materiali: l'amore di Dio si rivela nella responsabilità per l'altro”. (Spe salvi,28)

L’appagamento dell’amore umano, si mostra nel suo limite proprio nella realizzazione delle piccole speranze che ha alimentato.

L’Amore per l’altro ci è stato rivelato nella figura del sofferente che condivide la condizione dell'uomo. Se non trovo nella sofferenza un senso, un cammino di purificazione e di maturazione, un cammino di speranza non potrò accettare la sofferenza altrui e condividerla.

“La capacità di accettare la sofferenza per amore del bene, della verità e della giustizia è costitutiva per la misura dell'umanità”.

“La parola latina con-solatio, consolazione, lo esprime in maniera molto bella suggerendo un essere-con nella solitudine, che allora non è più solitudine”.



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