mercoledì 6 maggio 2015

OMOSESSUALI, LA FEDE CHE ACCOGLIE "AMICIZIA E VICINANZA NELLA VERITA' " (di Luciano Moia)


Omosessuali, la fede che accoglie "amicizia e vicinanza nella verità"
L'esperienza di "Courage International": la strada è la Parola

Intervista di Luciano Moia pubblicata su Avvenire, mercoledì 6 maggio 2015 pag. 17


Don Philip Bochanski
Don Philip Bochanski (associate director dell'Apostolato): ecco come rispondo alle tre domande del questionario in vista dell'assemblea dei vescovi. Aiutiamo a comprendere l'insegnamento della Chiesa sulla sessualità.

Persone omosessuali, il grande interrogativo. O, come hanno fatto osservare alcuni padri sinodali a margine dei lavori, uno dei temi più delicati su cui si misurerà il rinnovamento della pastorale. Inutile nascondere la realtà. Oggi le proposte per le persone con tendenza omosessuale sono sporadiche, isolate e, nella maggior parte dei casi, affidate all’iniziativa personale di parroci o educatori di buona volontà. Eppure il questionario diffuso nel dicembre scorso dalla Segreteria generale del Sinodo, in vista dell’assemblea ordinaria del prossimo ottobre, affronta il tema in modo esplicito, con tre domande (n.40) che vanno diritte al cuore del problema: «Come la comunità cristiana rivolge la sua attenzione pastorale alle famiglie che hanno al loro interno persone con tendenza omosessuale? Evitando ogni ingiusta discriminazione, in che modo prendersi cura delle persone in tali situazioni alla luce del Vangelo? Come proporre loro le esigenze della volontà di Dio sulla loro situazione?».
Ne parliamo con Philip Bochanski, associate director di Courage International (vedi box a fianco), tra le poche esperienze impegnate nella pastorale per le persone omosessuali, che rappresenta da oltre 30 anni un approdo affidabile, coerente con la dottrina della Chiesa.

Don Bochanski, che risposta darebbe alle domande del questionario?
Una risposta autentica alla situazione delle persone con tendenze omosessuali richiede formazione dell'intelletto e della coscienza. Courage cerca di fornire una chiara comprensione dell'antropologia cristiana, ovvero, come e perché l'essere umano è creato a immagine e somiglianza di Dio, e dell'insegnamento morale della Chiesa sulla sessualità e sulla virtù.

Il secondo e terzo punto raccomandano di evitare ogni "ingiusta discriminazione", ma di proporre a queste persone "le esigenze della volontà di Dio sulla loro situazione". Qual è l’attenzione più importante?
Courage cerca anche di formare discepoli del Signore Gesù, offrendo un'autentica cura pastorale a chi sperimenta un'attrazione per lo stesso sesso, alle loro famiglie e ai loro cari. Incoraggiando i nostri membri a frequentare i sacramenti dell'Eucaristia e della Confessione, cerchiamo di rafforzare la loro amicizia con Cristo. Con i nostri obiettivi di sostegno, amicizia e servizio, incoraggiamo i nostri membri e le loro famiglie a crescere nell'amore e nella comprensione reciproca, e a fare generosamente dono di se stessi nel servizio agli altri.

Da 35 anni l'apostolato Courage aiuta le persone che provano attrazione per lo stesso sesso a vivere gli insegnamenti della Chiesa. Come è cambiato in questi tre decenni il clima culturale che circonda le persone con difficoltà di identità sessuale?
Osserviamo con vivo piacere come Courage e Encourage si siano sviluppati in questi 35 anni. Dal primo incontro a New York nel settembre del 1980, il nostro apostolato è cresciuto fino a comprendere più di 125 gruppi in 15 paesi su 5 continenti.

L'attività dell'apostolato Courage viene ostacolata dall'attivismo gay? In quali Paesi succede più frequentemente?
Nei vari Paesi in cui l'omosessualità è legata a ciò che il Papa Francesco ha chiamato fazioni o "lobby", gli attivisti gay a volte criticano i nostri sforzi per offrire formazione e cura pastorale, arrivando anche a dimostrare contro i nostri convegni. Siamo attenti a proteggere la riservatezza dei nostri membri, non rendiamo pubblici orario e luogo delle nostre riunioni. Spesso la critica che ci viene rivolta è frutto di un fraintendimento, tuttavia siamo contenti per l'opportunità di dialogo con gli altri che ci offre, nella speranza di risolvere i malintesi.

Come una persona omosessuale può arrivare a vivere serenamente il rapporto con il proprio orientamento sessuale, in armonia con l'insegnamento della Chiesa?
Quello di cui stiamo parlando è una comprensione integrata dello scopo della sessualità, del desiderio sessuale e dell'intimità, e della volontà di vivere secondo il disegno di Dio sulla sessualità. Questa comprensione comincia da un profondo senso di gratitudine per il fatto di essere creati, redenti e chiamati da Dio. E per il fatto di essere sempre profondamente amati e accettati per come siamo. Si tratta, il più delle volte, di un difficile primo passo, in quanto le persone che sperimentano un'attrazione per lo stesso sesso si sentono spesso isolate ed emarginate, non solo dalla società o dalle loro famiglie, ma anche dalla Chiesa e da Dio stesso.

E il secondo passaggio?
Occorre la volontà di accettare la Parola di Dio come regola in base alla quale organizzare la propria vita e su cui costruire tutte le proprie relazioni. La verità è paradossale, ma anche emozionante: quanto più una persona affida la sua vita a Dio e alla sua volontà, tanto più diventa ciò per cui Dio l'ha creata. Più si affida, più diventa libera di perseguire la sua vera felicità. Una volta accettato il progetto di Dio e aver preso una libera decisione di conformarvi la propria vita, una persona ha bisogno di crescere nelle virtù della speranza e della perseveranza.

Cosa prevede la "ricetta" di Courage per aiutare le persone omosessuali che desiderano vivere pienamente la loro appartenenza alla Chiesa?
I primi membri di Courage definirono cinque obiettivi, che offrono i punti di riferimento per abbracciare serenamente, in una visione integrata, la virtù e per stabilire relazioni autentiche con gli altri. Il primo obiettivo è la castità, il percorso comincia dalla comprensione del significato e dello scopo della sessualità, e dalla volontà di rispettare il progetto di Dio per la sessualità così da preservare ogni forma d'intimità sessuale per il contesto dell'amore coniugale fecondo. Ciò richiede un impegno di santità che è sia fisico (evitare atti omosessuali) che spirituale (custodire la mente e il cuore, pensieri e desideri).

Non si tratta di un impegno da poco...
Questo obiettivo della castità può essere raggiunto solo se ci si impegna anche a una vita di preghiera, fondata sui sacramenti, la Parola di Dio, e la direzione spirituale. Queste fonti di grazia incrementano la relazione personale con Dio e con la Chiesa, che offre il contesto per altri rapporti umani.

Con quali risultati?
I membri di Courage e Encourage condividono la propria esperienza di tentativi, a volte di battaglie, per vivere la castità e la preghiera. Coloro che sono più progrediti nel percorso aiutano chi ancora lotta, portando gli uni il peso degli altri, come Simone di Cirene aiuta Gesù a portare la sua croce. Questo sostegno reciproco si arricchisce di un'autentica fratellanza, che crea legami di amicizia sia all'interno che all'esterno del gruppo. Infine, i membri di Courage s'impegnano a servire la Chiesa e il prossimo, in particolare coloro che sono emarginati e isolati. Questa forma di autodonazione per mezzo delle opere di carità consente di soddisfare quel profondo desiderio per l'intimità, la creatività e la fecondità a cui, a volte, si cerca di rispondere in modo malsano, attraverso atti e relazioni sessuali.

Chi frequenta i vostri incontri, può trarre beneficio dalla contemporanea partecipazione a uno dei vari percorsi proposti dalle cosiddette terapie riparative? In altre parole, la vostra proposta spirituale può essere armonizzata con sedute di psicoterapia o di psicoanalisi?
L'autentico punto di incontro di spiritualità e psicologia per quanto riguarda l'attrazione per lo stesso sesso è in quella che potremmo chiamare "la terapia basata sulla castità". Si tratta di qualcosa di molto differente da un tentativo di "riparare" o "aggiustare" una persona, come se si fosse alle prese con una malattia mentale. Al contrario, chi ha un'intima comprensione di come gli esseri umani pensano e si relazionano, ha dimostrato come modalità abituali di reagire a sentimenti o situazioni particolari possano rendere una persona maggiormente soggetta alle tentazioni o più propensa a cercare gratificazione in modi malsani. Alcuni ritengono che, oltre alla direzione spirituale e ai sacramenti, la possibilità di parlare delle loro esperienze e della loro condizione attuale con qualcuno in grado di capire queste modalità di reagire, pensare e comportarsi - psicologi e terapeuti con un'adeguata formazione etica e professionale - possa offrire loro delle intuizioni che sono d'aiuto nell'impegno per essere casti.

Nota: In Italia l'Apostolato Courage è presente dal giugno del 2012. Il numero dei membri è cresciuto gradualmente. Attualmente sono attivi gruppi che si riuniscono con regolarità a Roma, Torino e Reggio Emilia.
www.courageitalia.it

martedì 5 maggio 2015

Sono pieni di illusioni i miei fianchi: commento al salmo 37 (38) (di Agostino d'Ippona)

Signore, nel tuo sdegno non mi rimproverare e non correggermi nella tua ira.
Perché le tue frecce si son confitte in me ed hai aggravato su di me la tua mano.
Non v'è sanità nella mia carne di fronte al volto della tua ira.
Non c'è pace per le mie ossa dinanzi ai miei peccati
Non v'è sanità nella mia carne di fronte al volto della tua ira.
Sono debole e umiliato oltremodo
Ruggivo per il gemito del mio cuore
E dinanzi a te sta ogni mio desiderio: Ed il mio gemito non ti è nascosto
Il cuore mio si è turbato. E mi ha abbandonato la mia forza. E la luce dei miei occhi non è con me
I miei amici e i miei parenti si sono avvicinati e si sono posti contro di me
e i parenti sono stati lontani e facevano violenza coloro che cercavano la mia vita
Coloro che cercavano il mio male, hanno detto vanità. E tutto il giorno meditavano inganni
Ma io come sordo non udivo e come muto che non apre la sua bocca
Sono divenuto come uomo che non ode e non ha repliche nella sua bocca
Perché in te, o Signore, ho sperato, tu mi esaudirai, o Signore, Dio mio
Non sia mai che esultino contro di me i miei nemici; e già nel vacillare del mio piede, han detto grandi cose contro di me.
Perché io sono pronto alle sofferenze e il mio dolore è sempre dinanzi a me.
Perché io confesso la mia ingiustizia e sto in pena per il mio peccato
Ma i miei nemici vivono; e sopra di me si sono rafforzati, e si sono moltiplicati coloro che mi odiano ingiustamente
Mi denigravano coloro che rendono male per bene, perché ho perseguito la giustizia.
Non mi abbandonare, o Signore Dio mio, non ti allontanare da me.
Accorri in mio aiuto, o Signore della mia salvezza.



1. In modo opportuno risponde alle parole che abbiamo cantato: Confesso la mia iniquità, m'angustio per il mio peccato 1, la donna di cui abbiamo letto nel Vangelo. Il Signore infatti, vedendo i suoi peccati, la chiamò cane, dicendo: Non è bene gettare ai cani il pane dei figli 2. Ma ella, che aveva appreso a confessare la sua iniquità e a preoccuparsi per il suo peccato, non negò quel che disse la Verità; ma, confessata la sua miseria, molto di più impetrò misericordia, preoccupandosi per il proprio peccato. Aveva infatti chiesto che venisse risanata la figlia sua, quasi significando nella figlia la sua vita. Fate dunque attenzione mentre, per quanto possiamo, spieghiamo e commentiamo tutto il salmo. Il Signore sia presente nei nostri cuori, in modo che possiamo salutarmente ritrovare qui le nostre parole e pronunziarle come le avremo ritrovate, senza difficoltà nel ritrovarle e senza errore nel proferirle.

2. [v 1.] Ecco il titolo: Salmo di David, per la commemorazione del sabato. Cerchiamo le cose che sono state scritte per noi riguardo al santo profeta David, dalla cui stirpe nacque il nostro Signore Gesù Cristo secondo la carne 3; e tra le buone cose che di lui conosciamo attraverso le Scritture non troviamo che egli abbia alcuna volta commemorato il sabato. Perché infatti se ne sarebbe così ricordato, conformemente a quella osservanza dei Giudei secondo la quale rispettavano il sabato; perché se ne sarebbe così ricordato, dal momento che esso necessariamente sopravveniva alla fine dei sette giorni? Era da osservare, non da ricordare. Ci si ricorda, infatti, solo di ciò che non sta presente. Ad esempio, in questa città tu ti ricordi di Cartagine, dove sei stato una volta; ed oggi ti ricordi di ieri, oppure dell'anno scorso, o di qualche anno anteriore, o di qualche cosa che hai fatto, o di qualche luogo, ove sei stato, o di qualche fatto cui sei stato presente. Che significa dunque, fratelli miei, questa commemorazione del sabato? quale anima si ricorda in questo modo del sabato? e che cos'è questo sabato? Perché è nel pianto che lo si ricorda. Nel leggere il salmo, avete udito e di nuovo udrete, scorrendone ancora il testo, quanto grande sia la tristezza, il gemito, il pianto, la miseria. Ma è felice chi è sventurato in questo modo. Per questo anche il Signore nel Vangelo ha chiamato beati coloro che piangono 4. Come beato, se piange? Come beato, se è misero? Dirò di più: sarebbe misero se non piangesse. Tale dunque riconosciamo anche questi che qui si ricorda del sabato, questo sconosciuto che piange; volesse il cielo che fossimo anche noi questo sconosciuto! C'è dunque qualcuno che soffre, che geme, che piange, ricordandosi del sabato. Il sabato è la pace. Senza dubbio questo sconosciuto si trovava in qualche inquietudine, se gemendo si ricordava della pace.

Signore, nel tuo sdegno non mi rimproverare e non correggermi nella tua ira.
Domine ne in furore tuo arguas me: neque in ira tua corripias me.

3. [v 2.] Orbene, questi narra e raccomanda a Dio l'inquietudine per cui soffre, temendo qualcosa di più grave dello stato in cui si trovava. In effetti, che si trova nel male lo dice apertamente, e non c'è bisogno di interpretare, né di ricorrere a sospetti o a congetture; dalle sue parole risulta chiaro in qual male si trovi, non c'è bisogno che noi indaghiamo, ma che comprendiamo ciò che dice. E se non temesse qualcosa di peggio di ciò da cui era stretto, non comincerebbe col dire: Signore, nel tuo sdegno non mi rimproverare e non correggermi nella tua ira. Accadrà infatti che alcuni siano corretti nell'ira di Dio, e siano rimproverati nel suo sdegno. E forse non tutti coloro che sono rimproverati si correggeranno; accadrà invece che taluni saranno salvi nell'essere corretti. Accadrà certamente cosi, perché si parla di correzione; ma [di correzione] come attraverso il fuoco. Accadrà pure che vi saranno alcuni che sono rimproverati e non si correggeranno. Infatti rimprovera il Signore coloro cui dice: Ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere e le altre cose che ivi proseguendo incolpa alla disumanità e alla sterilità dei malvagi che stanno alla sua sinistra, ai quali è detto: Andate nel fuoco eterno, che è stato preparato per il diavolo e gli angeli suoi 5. Temendo costui questi più gravi mali, lasciando da parte la stessa vita, nelle cui sofferenze piange e geme, prega e dice: Signore, non mi rimproverare nel tuo sdegno. Che io non sia tra coloro cui dirai: Andate nel fuoco eterno, che è stato preparato per il diavolo e gli angeli suoi. E non mi correggere nella tua ira, in modo da purificarmi in questa vita e da rendermi tale da non aver ormai più bisogno del fuoco della correzione, come accade per coloro che si salveranno, ma attraverso il fuoco. E perché avviene questo, se non perché qui edificano sopra il fondamento legno, erba e paglia? Se avessero edificato invece oro, argento e pietre preziose, sarebbero sicuri dall'uno e dall'altro fuoco; non solo da quello eterno che eternamente tormenterà gli empi, ma anche da quello che correggerà coloro che saranno salvi attraverso il fuoco. Sta scritto: Ma anche egli sarà salvo, tuttavia come attraverso il fuoco 6. E poiché è detto sarà salvo, è disprezzato quel fuoco. Pertanto, anche se essi saranno salvi attraverso il fuoco, tuttavia quel fuoco sarà più doloroso di qualsiasi cosa l'uomo possa patire in questa terra. E voi sapete quante sofferenze i malvagi hanno patito sulla terra, e quante ne possono subire: tuttavia tante ne hanno subite quante ne possono patire anche i buoni. Che cosa infatti ha sopportato, a causa delle leggi, qualunque malfattore, ladro, adultero, scellerato, sacrilego, che non abbia sopportato il martire nel confessare Cristo? Molto più sopportabili sono dunque le sofferenze terrene: e tuttavia voi vedete che gli uomini, pur di non subirle, sono pronti a fare qualunque cosa tu gli comandi. Quanto sarebbe meglio se facessero ciò che Dio comanda, in modo da non dover subire quelle altre ben più gravi sofferenze!

Perché le tue frecce si son confitte in me ed hai aggravato su di me la tua mano.
Quoniam sagittae tuae infixae sunt mihi: et confirmasti super me manum tuam.

4. [v 3.] Orbene, perché costui chiede di non esser rimproverato nello sdegno, e di non esser corretto nell'ira? È come se dicesse a Dio: Poiché già sono molte e grandi le sofferenze che subisco, ti prego che tu non le accresca. E comincia ad enumerarle, per soddisfare Dio, offrendo le sofferenze che patisce, onde non subirne di peggiori: Perché le tue frecce si son confitte in me ed hai aggravato su di me la tua mano.

Non v'è sanità nella mia carne di fronte al volto della tua ira.
Non est sanitas in carne mea a facie irae tuae

5. [v 4.] Non v'è sanità nella mia carne di fronte al volto della tua ira. Finora parlava delle sofferenze che qui subiva; ed ora già parla dell'ira del Signore, e quindi della vendetta del Signore. Di quale vendetta? Quella che ricevette in Adamo. In lui infatti si è vendicato, altrimenti invano Dio avrebbe detto: Di morte morirai 7, o invano patiremmo alcuna cosa in questa vita, dovuta a quella morte che meritammo per il primo peccato. Portiamo infatti un corpo mortale (che certamente non lo sarebbe), ricolmo di tentazioni, pieno di affanni, oppresso da dolori corporali, schiacciato dal bisogno, mutevole, debole anche quando è sano, perché non è mai completamente sano. Perché diceva: Non v'è sanità nella mia carne, se non perché quella che è detta salute in questa vita, non lo è affatto per coloro che comprendono bene, e si ricordano del sabato? Infatti, se non avete mangiato, la fame vi tormenta. Questa è certamente una infermità naturale, perché, a causa della vendetta, la natura si è fatta per noi condanna. Ciò che per il primo uomo era condanna, per noi è natura. Ecco perché l'Apostolo dice: Fummo anche noi per natura figli dell'ira, come gli altri 8. Per natura figli dell'ira, perché portiamo il peso della vendetta. Ma perché dice fummo? Perché nella speranza non lo siamo più: ma lo siamo nella vita presente. Diciamo dunque meglio che siamo nella speranza, perché siamo certi di questa speranza. Non è infatti incerta la nostra speranza, quasi dubitassimo di essa. Ascolta la gloria stessa [annunciata] nella speranza. In noi stessi - dice - gemiamo aspettando l'adozione, la redenzione del nostro corpo 9. E che dunque? Non ancora sei stato redento, o Paolo? non ancora per te è stato pagato il prezzo? non è stato dunque versato quel sangue? e non è esso stesso il prezzo di tutti noi? Certo che lo è. Ma sta' attento a quanto dice: Perché nella speranza siamo stati salvati; ma la speranza che si vede non è speranza. Infatti, chi già vede una cosa, che spera più? Ma se speriamo ciò che non vediamo, con pazienza aspettiamo 10. E che cosa aspetta con pazienza? La salvezza. La salvezza di che cosa? Del corpo stesso: perché così ha detto: la redenzione del nostro corpo 11. Se aspettava la salute del corpo, non era salute quella che aveva. Sei affamato e la sete fa venir meno, se non viene il soccorso. Il rimedio per la fame è il cibo, il rimedio per la sete è la bevanda, il rimedio per la stanchezza è il sonno. Elimina questi rimedi e guarda un po' se non vengono meno le cose esistenti. Se, sottratti questi rimedi, non vi fossero infermità, ci sarebbe la salute. Ma se in te c'è qualcosa che può ucciderti, se non mangi, ebbene, non gloriarti della tua salute, ma gemendo aspetta la redenzione del tuo corpo. Rallegrati perché sei stato redento: ma non ancora nella realtà, sibbene nella speranza. E se non gemerai nella speranza, non perverrai alla realtà. Questa che abbiamo ora non è dunque sanità, e per questo dice: Non c'è sanità nella mia carne, di fronte al volto della tua ira. E cosa sono le frecce che sono state infisse? Chiama frecce la condanna stessa, il castigo, e forse anche i dolori che qui è inevitabile patire, nell'anima e nel corpo. Anche il santo Giobbe parla di queste frecce, e, mentre era immerso nel dolore, disse che era trafitto dalle frecce del Signore 12. Siamo soliti tuttavia designare con frecce anche le parole del Signore; ma forse che questi che parla potrebbe dolersi di esser stato ferito in tal modo da esse? Le parole del Signore sono frecce che suscitano amore, non dolore. O forse è perché l'amore stesso non può essere senza dolore? Tutto ciò infatti che amiamo e non possediamo, necessariamente ci è causa di dolore. Ama e non soffre colui che possiede ciò che ama: ma colui che ama - come ho già detto - e non possiede ancora l'oggetto del suo amore, inevitabilmente, geme nel dolore. Donde quello che dice in persona della Chiesa, la Sposa di Cristo nel Cantico dei Cantici: Perché io sono ferita d'amore 13. Dice di essere ferita dall'amore: perché amava qualcosa e non ancora lo possedeva; e perciò soffriva, perché non ancora aveva. Dunque se si doleva, era ferita: ma da questa ferita era innalzata alla verace salute. Chi non è stato ferito da tale ferita, non può pervenire alla vera salute. Dunque costui sarà sempre ferito da tale ferita? Possiamo perciò anche intendere che le saette infisse sono le tue parole che si sono infisse nel mio cuore, parole che hanno fatto sì che io mi ricordi del sabato; ma questa commemorazione del sabato, che non è ancora possesso, fa sì che io non possa ancora gioire, e debba riconoscere che né nella carne c'è la sanità, né lo posso dire, se paragono questa sanità a quella salute che avrò nella pace eterna, quando questo corpo corruttibile rivestirà l'incorruttibilità 14, e mi avvedo che, a paragone di quella salute, questa sanità è malattia.

Non c'è pace per le mie ossa dinanzi ai miei peccati
Non est pax ossibus meis a facie peccatorum meorum.

6. Non c'è pace per le mie ossa dinanzi ai miei peccati. Si suole chiedere di chi sia questa voce; ed alcuni ritengono che si tratti della voce di Cristo, dato che nel salmo si dicono certe cose che si riferiscono alla Passione di Cristo; ad esse giungeremo tra breve e vedremo che si riferiscono proprio alla Passione di Cristo. Ma come avrebbe potuto dire, Colui che non aveva nessun peccato 15, le parole: Non c'è pace per le mie ossa al cospetto dei miei peccati? Noi non possiamo intendere queste parole, se non riconoscendo che si tratta del Cristo pieno e totale, cioè Capo e Corpo. Quando il Cristo parla, talora parla solo in persona del Capo, che è Egli stesso, il Salvatore, nato da Maria Vergine; tal'altra in persona del suo Corpo, che è la santa Chiesa diffusa in tutto il mondo. Anche noi siamo nel suo Corpo, se la nostra fede in Lui è sincera, la nostra speranza sicura e la nostra carità ardente; siamo nel suo Corpo, e siamo le sue membra, e siamo perciò noi a parlare qui, come dice l'Apostolo: Perché noi siamo le membra del suo Corpo 16; concetto questo che l'Apostolo ripete in molti passi. Se dicessimo infatti che queste non sono parole di Cristo, neppure sarebbero parole di Cristo queste altre: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? 17 Eppure anche in quel salmo leggi: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? lontano dalla mia salvezza le parole delle mie colpe 18; così come qui leggi: al cospetto dei miei peccati, là trovi: le parole delle mie colpe. Dato che certamente Cristo è senza peccato e senza colpa, dobbiamo contestare che le sue [ultime] parole siano quelle stesse del salmo? Sarebbe molto incomprensibile e contraddittorio che quel salmo non si applicasse a Cristo, dato che in esso troviamo tanti aperti riferimenti alla sua Passione, quasi come se la si leggesse nel Vangelo. Leggiamo infatti in esso le parole: Si sono divisi i miei abiti, e sulla mia veste hanno gettato la sorte 19. E perché il Signore stesso, dall'alto della croce, ha pronunziato con la sua bocca il primo verso di questo salmo, ed ha detto: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? 20 Che cosa ha voluto farci intendere, se non che quel salmo tutto intero si riferiva a lui, in quanto Egli stesso ne pronunziava l'inizio? Non v'è quindi dubbio che le parole che seguono, laddove egli dice: Le parole dei miei peccati, sono voce di Cristo. E donde derivano allora i peccati, se non dal Corpo, che è la Chiesa? Chi parla dunque è il Corpo ed il Capo di Cristo. Perché parla come se fosse uno solo? Perché saranno, dice, due in una carne sola. È questo un grande mistero, aggiunge l'Apostolo, e io lo dico riguardo al Cristo e alla Chiesa 21. Onde ancora egli stesso, allorché parla nel Vangelo rispondendo a coloro che gli ponevano la questione sul ripudio della sposa, dice: Non avete letto che Dio al principio li fece maschio e femmina, e l'uomo abbandonerà il padre e la madre e si unirà alla sua sposa, e saranno due in una carne sola? Dunque non più due, ma una sola carne 22. Se Egli stesso ha detto non più due, ma una sola carne, che c'è di strano se ci sono una sola carne, una sola lingua e le stesse parole, in quanto di una sola carne, del Capo e del Corpo? Ascoltiamo dunque il Cristo in quanto è uno, ma tuttavia ascoltiamo il Capo come Capo, e il Corpo come Corpo. Non si dividono le persone, ma si distingue la dignità; poiché il Capo salva, mentre il Corpo è salvato. Manifesti il Capo la misericordia, pianga il Corpo la sua miseria. Al Capo spetta purificare, al Corpo confessare i peccati; una sola tuttavia è la voce, quando non sta scritto quando è il Corpo che parla, e quando il Capo; ma noi, nell'ascoltare la voce, operiamo la distinzione, mentre Egli parla come se fosse uno solo. Perché non dovrebbe dire: miei peccati, Colui che ha detto: Ho avuto fame, e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; fui pellegrino, e non mi avete accolto; fui malato e prigioniero, e non mi avete fatto visita? Sicuramente il Signore non fu mai in carcere. Perché non direbbe questo, Colui il quale, allorché gli vien detto: Quando ti abbiamo visto affamato ed assetato, o in carcere e non ti abbiamo assistito? risponde, parlando a nome del suo Corpo: Quando non lo avete fatto ad uno di questi miei piccoli, è a me che non lo avete fatto? 23 Perché non dovrebbe dire: al cospetto dei miei peccati, Colui che disse a Saulo: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? 24 Eppure Egli in cielo non soffriva più alcuna persecuzione. Ma allo stesso modo in cui là il Capo parlava per il Corpo, così anche qui il Capo dice le parole del Corpo, mentre udite ancora la voce del Capo. Ebbene, anche quando udite le parole del Corpo, non separatene il Capo; né quando udite le parole del Capo separate il Corpo; perché non sono più due, ma una sola carne.

7. Non c'è sanità nella mia carne di fronte al volto della tua ira. Ma per caso, si è adirato ingiustamente con te Dio, o Adamo, o genere umano: ingiustamente si è adirato Dio! Perché, riconoscendo la tua stessa pena, tu, uomo già stabilito nel Corpo di Cristo, hai detto: Non c'è sanità nella mia carne di fronte al volto della tua ira. Mostra la giustizia dell'ira di Dio affinché non sembri che tu scusi te stesso e accusi Lui. Prosegui, e di' donde viene l'ira del Signore. Non c'è sanità nella mia carne di fronte al volto della tua ira; non c'è pace per le mie ossa. Ripete quel che ha detto: Non c'è sanità nella mia carne, significa infatti non c'è pace per le mie ossa. Non ripete invece di fronte al volto della tua ira, ma spiega quale è la causa dell'ira di Dio: Non c'è pace - dice - per le mie ossa, per la presenza dei miei peccati.

Perché le mie iniquità hanno sollevato il mio capo, come una pesante fascina hanno gravato su di me.
Quoniam iniquitates meae supergressae sunt caput meum: et sicut onus grave gravatae sunt super me.

8. [v 5.] Perché le mie iniquità hanno sollevato il mio capo, come una pesante fascina hanno gravato su di me. Qui premette la causa, e fa seguire l'effetto; poiché ha detto donde deriva il suo stato: Le mie iniquità hanno sollevato il mio capo. Perché nessuno è superbo se non l'iniquo, e la superbia fa sollevare il capo. In alto si solleva chi erge il capo contro Dio. Avete udito quando è stato letto il passo dell'Ecclesiastico: Il principio della superbia dell'uomo è l'apostatare da Dio 25. Colui che per primo non ha voluto dare ascolto al comandamento, ha sollevato per la sua iniquità il capo contro Dio. E poiché le iniquità hanno sollevato il suo capo, che cosa gli ha fatto Dio? Come fascina pesante hanno gravato su di me. È caratteristico della leggerezza sollevare il capo, come se non portasse nulla colui che erge il capo. Poiché dunque è leggero ciò che può ergersi, riceve il peso onde sia schiacciato. Si rovescia infatti il peso sul suo capo e la sua ingiustizia discende sulla sua testa 26. Come fascina pesante hanno gravato su di me.

Sono imputridite ed hanno esalato cattivo odore le mie piaghe: a causa della mia follia.
Putruerunt, et corruptae sunt cicatrices meae: a facie insipientiae meae.

9. [v 6.] Sono imputridite ed hanno esalato cattivo odore le mie piaghe. Già più non è sano chi ha delle piaghe. Ed aggiungi che tali piaghe sono imputridite ed hanno esalato cattivo odore. Perché hanno esalato cattivo odore? Perché sono imputridite. E chi non sa in che modo questo sia spiegabile riguardo alla vita umana? Se uno ha sano l'olfatto dell'anima, sentirà in qual modo puzzano i peccati. A questo puzzo dei peccati si opponeva quell'odore di cui parla l'Apostolo: Siamo il buon odore di Cristo per Dio, in ogni luogo, per coloro che si salvano 27. Ma in qual modo, se non per la speranza? In che modo se non nel ricordarci del sabato? Una cosa infatti noi piangiamo in questa vita, ed un'altra ci ripromettiamo da quella. Ciò che si piange, puzza; ciò che si spera, profuma. Se non fosse dunque per quel tale odore che ci invita, mai ci ricorderemmo del sabato. Ma poiché possediamo tale profumo per mezzo dello Spirito stesso, tanto che allo Sposo nostro diciamo: Corriamo dietro l'odore dei tuoi unguenti 28, distogliamo l'olfatto dai nostri fetori, e, volgendoci a quel profumo, finalmente respiriamo. Ma se non emanassero fetore per noi le nostre colpe, mai confesseremmo tra i gemiti: Sono imputridite ed hanno esalato cattivo odore le mie piaghe. Perché? A causa della mia stoltezza. Prima aveva detto: davanti ai miei peccati; ed ora dice: a causa della mia follia.

Sono afflitto dalle miserie, e curvato fino alla fine: Tutto il giorno me ne andavo contristato
Miser factus sum, et curvatus sum usque in finem: tota die contristatus ingrediebar.

10. [v 7.] Sono afflitto dalle miserie, e curvato fino alla fine. Perché fu incurvato? Perché si era esaltato. Se sei umile, sarai esaltato; se ti esalti, sarai umiliato: non mancherà certo a Dio il peso onde schiacciarti. Ed il peso sarà quello, la fascina dei tuoi peccati, che calerà sul tuo capo, e ti curverai. Che significa infatti esser curvo? Non potersi alzare. Così il Signore trovò quella donna che da diciotto anni era curva: non poteva infatti alzarsi 29. E tali sono coloro che hanno il cuore rivolto alla terra. Ma, poiché quella donna incontrò il Signore ed Egli la risanò, chi è curvo ascolti: in alto il cuore. Tuttavia, in quanto è curvo, ancora geme. È curvo infatti colui che dice: Perché il corpo che si corrompe appesantisce l'anima, e la dimora terrena deprime colui che pensa molte cose 30. Fra queste cose gema, per ricevere quelle altre; si ricordi del sabato, per meritare di giungere al sabato. Perché quello che celebravano i Giudei era un segno. Segno di che cosa? Di quello che ricorda colui che dice: Sono afflitto dalle miserie e curvato fino alla fine. Che significa: fino alla fine? Fino alla morte. Tutto il giorno me ne andavo contristato. Tutto il giorno, cioè senza sosta. Questo significa durante tutto il giorno: per tutta la vita. Ma da quando se ne è accorto? Da quando ha cominciato a ricordarsi del sabato. Vuoi che non cammini nella tristezza, mentre si ricorda di ciò che non possiede? Tutto il giorno me ne andavo contristato.

Perché l'anima mia è ricolma di illusioni e non c'è sanità nella mia carne
Quoniam lumbi mei impleti sunt illusionibus: et non est sanitas in carne mea.

11. [v 8.] Perché l'anima mia è ricolma di illusioni e non c'è sanità nella mia carne. Dove sta tutto l'uomo, c'è anima e carne. L'anima è piena di illusioni, la carne non ha salute: che cosa rimane di cui allietarsi? Non è forse inevitabile contristarsi? Tutto il giorno me ne andavo contristato. Sia dunque in noi la tristezza, finché la nostra anima non si sarà spogliata delle illusioni, e il nostro corpo non si sarà rivestito della salute. La vera salute è l'immortalità. Come mi basterebbe il tempo, se volessi dire quante sono le illusioni dell'anima? Quale è l'anima che non ne soffre? Brevemente vi spiego in qual modo la nostra anima sia piena di illusioni. Oppressi da tali illusioni, talvolta a stento ci è possibile pregare. Per quanto si riferisce ai corpi, noi sappiamo pensare solo per immagini: e spesso sopravvengono quelle che non cerchiamo, e vogliamo da questa passare a quella, e da quella a quell'altra; e quando vuoi tornare a ciò che pensavi, ed abbandonare quello che pensi ora, ecco ti imbatti in qualche altra cosa; vuoi ricordare ciò di cui ti eri dimenticato e non ti viene in mente, mentre magari ti viene in mente ciò che non desideri. Dov'è finito ciò di cui ti sei scordato? E perché ti viene in mente più tardi, quando più non lo cerchi? Mentre invece lo cerchi, ti vengono in mente al suo posto innumerevoli altri pensieri, che non cercavi. Ho parlato brevemente, fratelli; ho seminato in voi qualcosa in modo che, ricevuto il seme, meditiate tra voi, onde giungere a capire che cosa significhi piangere sulle illusioni della nostra anima. Ha ricevuto il castigo dell'illusione, ha perduto la verità. Come infatti l'illusione è il castigo dell'anima, così la verità è il suo premio. Ma, quando eravamo immersi in queste illusioni, la Verità è venuta a noi, e ci ha trovati colmi di illusioni; ha assunto la nostra carne, o meglio l'ha assunta di noi, cioè dal genere umano. Si è manifestata agli occhi della carne, onde risanare per mezzo della fede coloro ai quali avrebbe mostrato la Verità, affinché la Verità si manifestasse all'occhio risanato. Perché Egli stesso è la Verità che ci ha promesso, quando la sua carne era visibile, affinché avesse inizio la fede di cui la Verità è il premio. Cristo infatti non si è mostrato in terra quale è, ma ha mostrato la sua carne. Se avesse mostrato se stesso, lo avrebbero visto i Giudei e lo avrebbero riconosciuto; e se lo avessero riconosciuto non avrebbero certo crocifisso il Signore della gloria 31. Ma probabilmente lo videro i discepoli, quando gli chiedevano: Mostraci il Padre, e ci basta 32. Ed egli, per mostrare che essi non lo avevano visto, replicò: Da tanto tempo sono con voi, e non mi avete conosciuto? Filippo, chi vede me, vede il Padre 33. Orbene, se vedevano Cristo, perché cercavano il Padre? Se avessero visto realmente Cristo, avrebbero visto anche il Padre. Non ancora, dunque, vedevano Cristo coloro che desideravano fosse loro mostrato il Padre. Ascolta perché ancora non Lo vedevano: altrove promette la sua visione come premio, dicendo: Chi mi ama, osserva i miei comandamenti, e chi ama me, è amato dal Padre mio ed io lo amerò. E, come se essi gli avessero chiesto: Che darai a colui che amerai? E mostrerò - aggiunge - a lui me stesso 34. Se dunque promette a coloro che Lo amano di mostrare in premio se stesso, è chiaro che ci è appunto promessa una tale visione di verità vedendo la quale noi non diremo: L'anima mia è ricolma di illusioni.

Sono debole e umiliato oltremodo
Afflictus sum, et humiliatus sum nimis.

12. [v. 9] Sono debole e umiliato oltremodo. Chi si ricorda della sublimità del sabato, da se stesso vede quanto sia umiliato. Infatti chi non è in grado di immaginare quale sia la profondità di quella quiete, nemmeno vede dove giace ora. Per questo in un altro salmo ha detto: Io ho detto nella mia estasi: Sono stato rigettato dalla vista dei tuoi occhi 35. Nell'elevazione della mente ha visto non so che di sublime, e nel vedere non era ancora ivi completamente; e manifestandoglisi, se così si può dire, come un lampo della luce eterna, in cui si è accorto di non essere ma che in qualche modo è riuscito a scorgere, ha visto dove si trovava e in qual modo era sofferente e schiacciato per i mali umani, e dice: Io ho detto nella mia estasi: Sono stato rigettato dalla vista dei tuoi occhi. Tale è quel non so che da me intravvisto nell'estasi, che mi rendo conto di quanto ne sono lontano, io che ancora non sono colà. Era là colui che ha detto di essere stato trasportato al terzo cielo, e di avere ivi udito parole ineffabili, che non è consentito agli uomini dire. Ma è stato richiamato a noi, onde prima gemere per perfezionarsi nell'infermità ed essere poi rivestito di virtù; tuttavia, incoraggiato per aver visto alcune di quelle cose nell'esercizio del suo ministero, soggiunge: Ho udito parole ineffabili, che non è consentito all'uomo dire 36. Non è dunque il caso che chiediate a me o a chiunque altro cose che non è lecito all'uomo dire, dato che non fu lecito dirle a colui cui fu consentito ascoltarle. Orbene piangiamo e gemiamo nella confessione, riconosciamo dove siamo, ricordiamoci del sabato, e pazientemente aspettiamo ciò che egli ci ha promesso, egli che ha dato in se stesso a noi l'esempio della pazienza: Sono debole e umiliato oltremodo.

Ruggivo per il gemito del mio cuore
Rugiebam a gemitu cordis mei.

13. Ruggivo per il gemito del mio cuore. Voi osservate abitualmente i servi di Dio supplicare con i gemiti; se ne ricerca la causa, e solo si avverte il gemito di qualche servo di Dio, sempreché esso giunga alle orecchie dell'uomo che gli sta vicino. C'è infatti un gemito nascosto che l'uomo non ode; tuttavia, se l'intenso pensiero di un qualche desiderio occuperà il cuore, tanto che la ferita dell'uomo interiore pervenga ad esprimersi con voce più chiara, se ne cerca la causa; e l'uomo [che ascolta] dice tra sé: Forse è per questo che geme, e forse quest'altro gli è stato fatto. Chi può capirlo, se non colui dinanzi ai cui occhi ed alle cui orecchie geme? Per questo ruggivo - dice - per il gemito del mio cuore, in quanto gli uomini, quando odono il gemito dell'uomo, odono di solito il gemito della carne, e non odono invece colui che geme nel gemito del cuore. Uno sconosciuto ha rubato qualcosa ad uno: questi ruggiva, ma non per il gemito del cuore; un altro perché ha seppellito il figlio; un altro ancora perché ha seppellito la moglie; un altro perché la grandine è caduta sulla sua vigna, perché la sua botte perde, perché ignoti gli hanno rubato il giumento; un altro perché ha subito un danno; un altro ancora perché teme un uomo nemico: ebbene, tutti costoro ruggiscono per il gemito della carne. Ma il servo di Dio ruggisce nel ricordarsi del sabato, ove è il Regno di Dio, che né carne né sangue possederanno 37: Ruggivo - dice - per il gemito del mio cuore.

E dinanzi a te sta ogni mio desiderio: Ed il mio gemito non ti è nascosto
Domine ante te omne desiderium meum: et gemitus meus a te non est absconditus.

14. [v 10.] E chi capiva perché ruggiva? Aggiunge: E dinanzi a te sta ogni mio desiderio. Non dinanzi agli uomini, che non possono vedere il cuore, ma dinanzi a te sta ogni mio desiderio. Sia dinanzi a lui il tuo desiderio; ed il Padre, che vede nel segreto, lo esaudirà 38. Il tuo desiderio è la tua preghiera; se continuo è il desiderio, continua è la preghiera. Perché non invano ha detto l'Apostolo: Pregando senza interruzione 39. Forse noi senza interruzione pieghiamo il ginocchio, prostriamo il corpo, o leviamo le mani, per adempiere all'ordine: Pregate senza interruzione? Se intendiamo il pregare in tal modo, credo che non lo possiamo fare senza interruzione. Ma c'è un'altra preghiera interiore che non conosce interruzione, ed è il desiderio. Qualunque cosa tu faccia, se desideri quel sabato, non smetti mai di pregare. Se non vuoi interrompere la preghiera, non cessar mai di desiderare. Il tuo desiderio continuo sarà la tua continua voce. Tacerai se cesserai di amare. Chi sono quelli che hanno taciuto? Coloro dei quali è detto: Poiché ha abbondato l'ingiustizia, si raggelerà la carità di molti 40. Il gelo della carità è il silenzio del cuore; l'ardore della carità è il grido del cuore. Se sempre permane la carità, tu sempre gridi; se sempre gridi, sempre desideri; e se desideri, ti ricordi della pace. Ed occorre tu intenda dinanzi a chi echeggia il ruggito del tuo cuore. Stai bene attento con quale desiderio devi mostrarti davanti agli occhi di Dio. Forse con il desiderio che muoia il nostro nemico, come, apparentemente con giustizia, desiderano gli uomini? Infatti talvolta non preghiamo come dovremmo. Osserviamo quanto chiedono gli uomini come cosa giusta. Pregano affinché muoia qualcuno, e ne venga a loro l'eredità. Ebbene, anche quelli che pregano perché muoiano i nemici, ascoltino il Signore che dice: Pregate per i vostri nemici 41. Non pregheranno dunque perché muoiano i nemici, ma affinché essi si correggano e così verranno meno i nemici: non saranno più tali, perché saranno ormai corretti. È dinanzi a te ogni mio desiderio. E se è davanti a Lui il desiderio, non sarà davanti a Lui anche il suo gemito? Come potrebbe esser così, dal momento che il gemito è la voce del desiderio? Per questo continua: Ed il mio gemito non ti è nascosto. A te non è nascosto, ma lo è a molti uomini. A volte sembra che l'umile servo di Dio dica: E il mio gemito non ti è nascosto. A volte sembra anche che il servo di Dio rida: forse che quel desiderio è morto nel suo cuore? Ma se dentro al cuore c'è il desiderio, c'è anche il gemito; non sempre esso giunge alle orecchie degli uomini, ma mai resta lontano dalle orecchie di Dio.

Il cuore mio si è turbato. E mi ha abbandonato la mia forza. E la luce dei miei occhi non è con me
Cor meum conturbatum est, dereliquit me virtus mea: et lumen oculorum meorum, et ipsum non est mecum.

15. [v 11.] Il cuore mio si è turbato. Per che cosa si è turbato? E mi ha abbandonato la mia forza. Spesso irrompe in noi repentinamente un non so che cosa; ne nasce il turbamento del cuore, trema la terra, dal cielo echeggiano tuoni, scoppia un assordante fragore e strepito, e magari ecco anche un leone che ci sbarra la strada. Ne siamo turbati, i ladroni tendono insidie; ecco il turbamento, lo spavento, e da ogni parte ci assale la paura. Perché tutto questo? Perché mi ha abbandonato la mia forza. Se tale forza non mi abbandonasse, che cosa temerei? Qualunque cosa si presentasse, qualunque cosa mi colpisse, qualunque cosa rintronasse, qualunque cosa mi cadesse addosso, qualunque evento orribile si manifestasse, niente di tutto ciò mi spaventerebbe. Donde deriva dunque quel turbamento? Mi ha abbandonato la mia forza. E perché mi ha abbandonato? E la luce dei miei occhi non è con me. Si nascose dunque ad Adamo la luce dei suoi occhi. Infatti la luce dei suoi occhi era Dio stesso; avendolo offeso, fuggì nell'ombra, e si nascose tra gli alberi del paradiso 42. Aveva paura del volto di Dio, e cercò l'ombra degli alberi. Ed ormai tra gli alberi più non aveva la luce degli occhi, di cui era solito rallegrarsi. Ebbene: egli ha perduto all'origine la luce degli occhi, noi l'abbiamo perduta perché da lui discendiamo; e queste membra tornano a quel secondo e ultimo Adamo, poiché l'ultimo Adamo fu fatto in spirito vivifìcante 43, e gridano dal suo Corpo in questa confessione: E la luce dei miei occhi non è con me. Già ha confessato, già è stato riscattato, già fa parte del Corpo di Cristo, e la luce dei suoi occhi non è con lui? Sicuramente non è con lui: si trova fra coloro che si ricordano del sabato, tra coloro che vedono nella speranza; ma non si tratta ancora di quella luce, della quale è detto: Mostrerò loro me stesso 44. Vi è certo qualcosa di questa luce in noi, poiché siamo figli di Dio, e lo abbiamo per fede: ma non è ancora quella luce che vedremo. Non ancora infatti è apparso quello che saremo; sappiamo che quando si manifesterà, saremo simili a lui, poiché lo vedremo quale Egli è 45. Infatti ora è la luce della fede e della speranza. Perché, finché siamo nel corpo, peregriniamo lontano dal Signore; camminiamo nella fede, non nella chiara visione 46. E finché speriamo ciò che non vediamo, con pazienza aspettiamo 47. Queste sono dunque parole di pellegrini, non ancora giunti alla patria. Giustamente e veramente dice, e, se in lui non è inganno, sinceramente confessa: E la luce dei miei occhi non è con me. Questo soffre l'uomo nel suo intimo, con sé, in sé e per se stesso, e nessuno, all'infuori di se medesimo, ne è la causa: ha meritato egli stesso che fosse sua pena tutto ciò che prima ha elencato.

I miei amici e i miei parenti si sono avvicinati e si sono posti contro di me
Amici mei, et proximi mei: adversum me appropinquaverunt, et steterunt.

16. [v 12.] Ma è forse questa sola la sofferenza dell'uomo? Egli soffre nel suo intimo, ma soffre anche all'esterno per colpa di coloro tra i quali vive: patisce i suoi mali, ma è costretto anche a subire gli altrui. Questo indicano le due frasi: Dai miei occulti (peccati) purificami, Signore, e dagli altrui libera il tuo servo 48. Ormai ha già confessato i suoi peccati occulti, dai quali desidera essere purificato: dica dunque da quali mali altrui chiede di essere salvato. I miei amici. E che dirò dunque dei nemici? I miei amici e i miei parenti si sono avvicinati e si sono posti contro di me. Intendi che cosa vuol dire con le parole: Sono stati contro di me. Se infatti sono stati contro di me, contro se stessi sono caduti. I miei amici e i miei parenti si sono avvicinati e si sono posti contro di me. Già intendiamo le parole del Capo, già comincia a illuminarsi nella Passione il nostro Capo. Ma, ripeto, allorché il Capo comincia a parlare, non separare da esso il Corpo. Se il Capo non ha voluto separarsi dalle parole del Corpo, oserà il Corpo separarsi dalle sofferenze del Capo? Soffri in Cristo, così come Cristo in un certo senso ha peccato nella tua debolezza. Poiché ora parlava dei tuoi peccati con la sua bocca e li diceva suoi. Affermava infatti: Davanti ai miei peccati, mentre non erano suoi. Ebbene, come Egli ha voluto che i nostri peccati fossero suoi a cagione del suo Corpo, vogliamo anche noi che le sue sofferenze siano nostre a cagione del nostro Capo. Non sia mai che egli abbia sofferto a vantaggio degli amici per mano dei nemici, e noi no. Prepariamoci dunque anche noi a sedere alla medesima mensa; non respingiamo quel calice, onde trovare attraverso la sua umiltà il desiderio della sua sublimità. A coloro che volevano raggiungere la sua altezza, ma ancora non pensavano alla sua umiltà, ha infatti risposto, dicendo: Potete voi bere il calice che io berrò? 49 Dunque le sofferenze del Signore sono anche nostre sofferenze; e ogni buon servo di Dio che conservi fedelmente la fede, che manifesti ciò che deve e viva giustamente tra gli uomini, voglio vedere se non soffre anche quelle sofferenze che qui Cristo elenca a proposito della sua Passione.

e i parenti sono stati lontani
Et qui iuxta me erant, de longe steterunt.

17. I miei amici e i miei parenti si sono avvicinati e si sono posti contro di me; e i parenti sono stati lontani. Quali parenti si sono avvicinati, e quali sono stati lontani? Parenti erano i Giudei, poiché eran consanguinei: e si sono avvicinati quando Lo hanno crocifisso. Parenti erano anche gli Apostoli; e tuttavia sono stati lontani, per non soffrire insieme con Lui. Si possono anche intendere le parole i miei amici nel senso di coloro che hanno finto di essere miei amici. Si sono finti amici, infatti, quando hanno detto: Sappiamo che insegni nella verità la via di Dio 50; quando hanno cercato di tentarlo, chiedendogli se doveva o no essere pagato il tributo a Cesare, e quando egli li ha confusi con le loro stesse parole, volevano sembrare amici; ma egli non aveva bisogno che qualcuno gli rendesse testimonianza sull'uomo, perché sapeva che cosa c'era nell'uomo 51, al punto che, alle loro parole amichevoli, ha risposto: Perché mi tentate, ipocriti? 52 Orbene, gli amici miei e i miei parenti si sono avvicinati e si sono posti contro di me; e i parenti sono stati lontani. Sapete che cosa ho detto. Ho chiamato parenti coloro che si sono avvicinati, e tuttavia sono stati lontani. Si sono avvicinati con il corpo, ma sono stati lontani con il cuore. Chi è stato più vicino a lui con il corpo, di coloro che lo hanno sollevato sulla croce? E tanto lontano con il cuore, quanto coloro che lo hanno bestemmiato? Ascoltate come esprime questa lontananza il profeta Isaia, e vedete questa vicinanza e lontananza: Questo popolo mi onora con le labbra, ecco la vicinanza corporale; ma il loro cuore è lontano da me 53. Gli stessi, dunque, sono vicini e lontani; vicini con le labbra e lontani con il cuore. Purtuttavia, siccome gli sono stati lontani, per paura, gli Apostoli, più adeguatamente e chiaramente riferiamo questo a loro, onde intendere che alcuni si sono avvicinati, mentre altri sono stati lontani; perché anche Pietro, che più audacemente lo aveva seguito, era purtuttavia tanto lontano che, interrogato e turbato, rinnegò per tre volte il Signore con il quale aveva promesso di morire 54. Egli poi in seguito, da lontano divenuto vicino, ha udito dopo la risurrezione: Mi ami? e rispondeva: Ti amo 55. E così dicendo si avvicinava, mentre negando si era allontanato, cancellando con la parola d'amore, tre volte ripetuta, la triplice parola della negazione. E i miei parenti sono stati lontani.

e facevano violenza coloro che cercavano la mia vita
et vim faciebant, qui quaerebant animam meam.

18. [v 13.] E facevano violenza coloro che cercavano la mia vita. È chiaro che cercavano la sua vita coloro che non la possedevano, perché non erano nel suo corpo. Coloro che cercavano la sua vita erano lontani da essa; ma la cercavano per ucciderla; poiché si può ricercare la sua vita anche a fin di bene. Per questo altrove rimprovera alcuni dicendo: E non c'è chi cerchi la mia vita 56. Incolpa quelli che non cercano la sua vita, e di nuovo rimprovera altri che la ricercano. Chi è dunque colui che cerca a fin di bene la sua anima? Colui che imita le sue sofferenze. E chi sono coloro che cercavano a fin di male la sua anima? Coloro che gli facevano violenza, e lo crocifiggevano.

Coloro che cercavano il mio male, hanno detto vanità. E tutto il giorno meditavano inganni
Et qui inquirebant mala mihi, locuti sunt vanitates: et dolos tota die meditabantur.

19. Continua: Coloro che cercavano il mio male, hanno detto vanità. Che vuol dire: Coloro che cercavano il mio male? Molte cose cercavano, e non le trovavano. Forse avrà voluto dire: Cercavano le mie colpe. Perché hanno cercato che cosa dire contro di lui, e non l'hanno trovato 57. Cercavano il male nel buono, cercavano il delitto nell'innocente: come potevano trovarne in Colui che non aveva nessun peccato? Ma poiché cercavano i peccati in Colui che non aveva alcun peccato, non restava loro che inventare ciò che non avevano trovato. Per questo coloro che cercavano il mio male, hanno detto vanità, non verità. E tutto il giorno meditavano inganni, cioè senza sosta tramavano tranelli. Sapete quante false testimonianze sono state addotte contro il Signore prima della sua Passione. Sapete quante false testimonianze sono state invocate anche dopo la sua Risurrezione. Osservate infatti quali cose vane hanno detto quei soldati che custodivano il sepolcro, dei quali Isaia aveva predetto: Porrò i malvagi presso la sua sepoltura 58 (erano infatti malvagi, e non hanno voluto dire la verità, e, corrotti, hanno seminato la menzogna). Sono stati interrogati ed hanno detto: Mentre dormivamo, sono venuti i suoi discepoli, e lo hanno portato via 59. Questo significa dire cose vane. Se dormivano, infatti, come potevano sapere quello che era accaduto?

Ma io come sordo non udivo e come muto che non apre la sua bocca
Sono divenuto come uomo che non ode e non ha repliche nella sua bocca
Ego autem tamquam surdus non audiebam: et sicut mutus non aperiens os suum.
Et factus sum sicut homo non audiens: et non habens in ore suo redargutiones.

20. [vv 14.15.] Dice poi: Ma io come un sordo non udivo. Colui che non rispondeva a ciò che udiva, è come se non avesse udito. Ma io come sordo non udivo e come muto che non apre la sua bocca. Ripete poi lo stesso concetto: Sono divenuto come uomo che non ode e non ha repliche nella sua bocca; come se non esistesse di che parlar loro, come se non ci fosse niente di cui rimproverarli. Non aveva forse prima rimproverato e detto molte cose, come col dire: Guai a voi scribi e farisei ipocriti 60, ed altre cose simili? Tuttavia, quando affronta la Passione, non dice niente di tutto questo: e non perché non aveva che cosa dire, ma perché aspettava che essi compissero tutto, ed adempissero a tutte le profezie che si riferivano a Lui, del quale appunto sta scritto: Come pecora senza voce in presenza del tosatore, non aprì la sua bocca 61. Era dunque necessario che tacesse nella Passione, Colui che non tacerà nel Giudizio. Perché era venuto per essere giudicato, Colui che poi verrà per giudicare; e perciò con maggiore autorità giudicherà, perché con grande umiltà è stato giudicato.

Perché in te, o Signore, ho sperato, tu mi esaudirai, o Signore, Dio mio
Quoniam in te Domine speravi: tu exaudies Domine Deus meus.

21. [v 16.] Perché in te, o Signore, ho sperato, tu mi esaudirai, o Signore, Dio mio. Come se gli fosse stato detto: Perché non hai aperto la tua bocca?; perché non hai detto: Risparmiatemi?; perché non hai rimproverato gli empi della Croce?, continua e dice: Perché in te ho sperato, o Signore, tu mi esaudirai, o Signore, Dio mio. Ti esorta a far così, se per avventura ti troverai nella tribolazione. Forse cerchi di difenderti e nessuno si assume la tua difesa, e già ti turbi, come se avessi perduto la tua causa, in quanto non disponi della difesa o della testimonianza di nessuno. Custodisci dentro di te la tua innocenza, dove nessuno può vincere la tua causa. Ha prevalso contro di te un falso testimone, ma di fronte agli uomini; avrà forse valore presso Dio, dove la tua causa deve essere discussa? Quando il giudice sarà Dio, non vi sarà altro testimone che la tua coscienza. Tra il giudice giusto e la tua coscienza, non aver timore altro che per la tua causa; se la tua causa non sarà cattiva, non temerai alcun accusatore, non sarai ingannato da alcun falso teste, e non avrai bisogno di dimostrare la verità. Tu cita soltanto la tua buona coscienza, in modo da poter dire: Perché in te, o Signore, ho sperato, tu mi esaudirai, o Signore, Dio mio.

Non sia mai che esultino contro di me i miei nemici; e già nel vacillare del mio piede, han detto grandi cose contro di me.
Quia dixi, ne quando supergaudeant mihi inimici mei: et dum commoventur pedes mei, super me magna locuti sunt.

22. [v 17.] Perché ho detto: Non sia mai che esultino contro di me i miei nemici; e già nel vacillare del mio piede, han detto grandi cose contro di me. Di nuovo torna alla debolezza del suo Corpo, e ancora una volta il Capo sta attento ai suoi piedi; non è in cielo sino al punto da abbandonare ciò che ha in terra; ma per certo guarda e ci vede. Talvolta infatti, così è questa vita, i nostri piedi vacillano, e cadono in qualche peccato; allora si levano le lingue perverse dei nemici. Comprendiamo da questo che cosa cercavano, anche quando tacevano. Parlano allora senza mitezza e in tono aspro, godendo di aver trovato qualcosa di cui dovrebbero dolersi. E ho detto: Non sia mai che esultino contro di me i miei nemici. Questo ho detto, e tuttavia, allo scopo di correggermi, hai permesso loro di dire grandi cose contro di me, mentre vacillano i miei piedi; cioè si son fatti grandi, han detto molte cose malvage, mentre vacillavo. Si deve infatti aver commiserazione per i deboli, non insultarli; così come dice l'Apostolo: Fratelli, se anche qualcuno fosse colto in fallo, voi che siete spirituali, correggetelo in spirito di mansuetudine. E spiega perché: ponendo, dice, mente a te stesso, affinché tu non sia tentato a tua volta 62. Non così erano coloro dei quali è detto: E mentre vacillavano i miei piedi, contro di me hanno detto grandi cose; al contrario, costoro erano di quelli dei quali altrove dice: Coloro che mi tormentano esulteranno, se avrò vacillato 63.

Perché io sono pronto alle sofferenze
Quoniam ego in flagella paratus sum

23. [v 18.] Perché io sono pronto alle sofferenze. Magnificamente si esprime, come se dicesse: Per questo sono nato, per subire le sofferenze. Altrimenti non sarebbe nato da Adamo, cui le sofferenze sono dovute. Ma talvolta i peccatori in questa vita non soffrono, oppure soffrono meno di altri, perché ormai la loro disposizione è senza speranza. Ma coloro per i quali è preparata la vita eterna, è necessario che qui soffrano; perché vere sono le parole: Figlio, non venir meno nella disciplina del Signore; e non stancarti quando da lui sei rimproverato; Dio infatti corregge chi ama; e flagella ogni figlio che accoglie 64. Non mi insultino perciò i miei nemici, non dicano grandi cose contro di me; e se il Padre mi flagella, io sono pronto alle sofferenze, perché per me è preparata l'eredità. Non vuoi la sofferenza, ebbene non ti sarà data l'eredità. Perché ogni figlio è necessario che sia castigato. È tanto necessario che ognuno sia castigato che neppure è stato risparmiato 65 Colui che non aveva peccato 66. Perché io sono pronto alle sofferenze.

e il mio dolore è sempre dinanzi a me.
Perché io confesso la mia ingiustizia e sto in pena per il mio peccato
et dolor meus in conspectu meo semper.
Quoniam iniquitatem meam annunciabo: et cogitabo pro peccato meo.

24. [v 18.19.] E il mio dolore è sempre dinanzi a me. Quale dolore? Forse quello del castigo. E per la verità, fratelli miei, vi dirò che gli uomini si dolgono dei loro castighi; ma non si dolgono del perché sono castigati. Non così era costui. Ascoltate, fratelli miei: quando uno subisce un danno, è incline a dire: Ho sofferto ingiustamente, piuttosto che a considerare per quale ragione ha sofferto; si duole per la perdita di denaro, non si addolora per la giustizia. Se hai peccato, addolorati per il tuo interiore tesoro; non hai niente in casa, ma forse sei ancor più povero nel cuore. Se invece il cuore è ricolmo del suo bene, il tuo Dio, perché non dici: Il Signore ha dato, il Signore ha tolto; come al Signore è piaciuto, così è stato fatto; sia benedetto il nome del Signore? 67 Di che cosa dunque si doleva costui? per le sofferenze che subiva? No di certo. E il mio dolore - dice - è sempre dinanzi a me. E come se avessimo chiesto: quale dolore, e donde proviene?, risponde: Perché io confesso la mia ingiustizia e sto in pena per il mio peccato. Ecco donde deriva il dolore. Non dal castigo: dalla ferita, non dalla medicina. Il castigo è infatti un rimedio contro i peccati. Ascoltate, fratelli, siamo cristiani, e tuttavia, di solito, se uno perde il figlio lo piange: se il figlio pecca, non lo piange. Allora dovrebbe piangere, allora dovrebbe dolersi, quando lo vede peccare; allora dovrebbe imporgli una direttiva, inculcargli una norma di vita, castigarlo; oppure, se così ha fatto ma quello non lo ha ascoltato, allora era da compiangersi; è peggio se è morto nell'anima perché vive nella lussuria, piuttosto che, morendo, ponga termine alla lussuria; quando dunque quel figlio così si comportava nella tua casa, non solo era morto, ma anche puzzava. Di queste cose ci dobbiamo dolere, mentre quelle dobbiamo sopportare; quelle dobbiamo tollerare, queste piangere. Si deve piangere insomma nel modo in cui avete udito piangere costui: Perché io confesso la mia ingiustizia e sto in pena per il mio peccato. Non startene tranquillo quando hai confessato il tuo peccato, considerandoti sempre pronto a confessare, come a commettere il peccato. Proclama la tua ingiustizia in maniera da stare in pena per il tuo peccato. Che significa: stare in pena per il tuo peccato? Stare in pena per la tua ferita. Se tu dicessi: Starò in pena per la mia ferita, che cosa si intenderebbe se non che ti darai da fare per guarirla? Perché questo significa darsi pena per il peccato, cioè sempre sforzarsi, sempre cercare, sempre darsi da fare con assiduo zelo per guarire il peccato. Ecco, di giorno in giorno piangi il tuo peccato, ma forse le lacrime scorrono, e gli sforzi cessano. Compi elemosine, e i peccati saranno riscattati; goda il misero per quanto tu gli doni, affinché anche tu goda di quanto dona Dio. Egli ha bisogno ed hai bisogno anche tu; egli ha bisogno di te, e tu hai bisogno di Dio. Tu disprezzi colui che ha bisogno del tuo dono, e Dio non disprezzerà colui che ha bisogno del suo? Ricolma dunque la miseria di chi ha bisogno, affinché Dio ricolmi il tuo intimo. Questo significa sto in pena per il mio peccato, cioè farò tutto quanto è necessario fare per cancellare e risanare il mio peccato. E sto in pena per il mio peccato.

Ma i miei nemici vivono; e sopra di me si sono rafforzati, e si sono moltiplicati coloro che mi odiano ingiustamente
Inimici autem mei vivunt, et confirmati sunt super me: et multiplicati sunt, qui oderunt me inique.

25. [v 20.] Ma i miei nemici vivono. Essi stanno bene, si godono la felicità del secolo, mentre io soffro e ruggisco per il gemito del mio cuore. In qual modo vivono i suoi nemici, dato che di costoro ha già detto che hanno proferito cose vane? Ascolta quanto dice anche in un altro salmo: I figli di costoro come nuove piante allevate. Ma prima aveva detto: la loro bocca ha detto cose vane, le loro figlie sono figure d'ornamento come quelle del tempio; le loro dispense sono piene, e traboccano di questo e di quello; i loro bovi grassi; e le loro pecore feconde che si moltiplicano nelle loro stalle; nessuna breccia nella siepe, né allarme nelle loro piazze. Vivono dunque i miei nemici; questa è la loro vita, questa vita lodano, questa amano, questa posseggono per loro sciagura. Che dice dopo? Hanno chiamato beato il popolo che queste cose possiede. E tu, allora, che stai in pena per il tuo peccato? che è di te che proclami la tua ingiustizia? Beato - sta scritto - il popolo di cui il Signore è il suo Dio 68. Ma i miei nemici vivono; e sopra di me si sono rafforzati, e si sono moltiplicati coloro che mi odiano ingiustamente. Che significa mi odiano ingiustamente? Odiano colui che vuole per sé il bene. Coloro che restituiscono il male per il male, non sono buoni; sarebbero ingrati se non restituissero il bene per il bene; ma rendono il male per il bene coloro che odiano ingiustamente. Tali furono i Giudei; è venuto ad essi Cristo recando loro del bene, ed essi gli hanno restituito male per bene. Guardatevi da questo male, fratelli; esso sopraggiunge di colpo. In quanto diciamo che tali furono i Giudei non creda qualcuno di voi di esserne del tutto esente. Un tuo fratello ti corregge, volendo farti del bene: se tu lo odii, sarai come loro. Osservate quanto rapidamente questo avviene, e con quanta facilità: ed evitate un peccato così grande e così sottile.

Mi denigravano coloro che rendono male per bene, perché ho perseguito la giustizia.
Qui retribuunt mala pro bonis, detrahebant mihi: quoniam sequebar bonitatem.

26. [v 21.] Mi denigravano coloro che rendono male per bene, perché ho perseguito la giustizia. Per questo hanno reso male per bene. Che significa ho perseguito la giustizia? Non l'ho abbandonata, affinché tu non intenda sempre in senso cattivo la parola perseguire: ha detto ho perseguito, cioè ho seguito in modo perfetto: Perché ho perseguito la giustizia. Ascolta il nostro Capo che piange, nella sua passione: E hanno rigettato me che ero il prescelto, come morto esecrato. Era poco esser morto, perché anche esecrato? Perché è stato crocifisso. Infatti questa morte sulla croce era presso costoro ignominiosa, in quanto non comprendevano ciò che sta scritto nella profezia: Maledetto ognuno che pende dal legno 69. Perché non Lui ha portato la morte, ma l'ha trovata trasmessa qui dalla maledizione del primo uomo 70; ed accettando la nostra stessa morte, ha inchiodata al legno quella morte che era venuta per mezzo del peccato. Perché dunque alcuni non credessero, come pensano certi eretici, che il Signore nostro Gesù Cristo sia stato rivestito di una carne non vera, e non abbia subito una vera morte sulla croce, il profeta intende questo, dicendo: Maledetto ognuno che pende dal legno. Egli mostra cioè che anche il Figlio di Dio è morto di vera morte, che gli derivava dalla sua carne mortale, affinché tu non creda che egli non essendo maledetto, non sia perciò realmente morto. Poiché quella morte non era apparente, ma gli derivava dal propagarsi della maledizione della sua stirpe, allorché Dio aveva detto: Morirete di morte 71, così Egli è giunto pienamente alla vera morte, perché noi pervenissimo alla vera vita; del pari Egli è stato colpito dalla maledizione della morte, perché noi giungessimo alla benedizione della vita. E hanno rigettato me che ero prescelto, come morto esecrato.

Non mi abbandonare, o Signore Dio mio, non ti allontanare da me.
Non derelinquas me Domine Deus meus: ne discesseris a me.

27. [v. 22.] Non mi abbandonare, o Signore Dio mio, non ti allontanare da me. Diciamolo in Lui, per Lui; dato che Egli intercede per noi 72, diciamo: Non mi abbandonare, o Signore Dio mio. E tuttavia Egli aveva detto: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? 73 e ora dice: Dio mio, non ti allontanare da me. Se non si allontana dal corpo, si è forse allontanato dal capo? Quella voce, dunque, non era altro che quella del primo uomo. Mostrando con tali parole di rivestire la vera carne, dice: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Non lui aveva abbandonato Dio. Se non abbandona te che credi in Lui, abbandonerà Cristo il Padre, che con il Figlio e lo Spirito Santo è un solo Dio? Ma trasfigurava allora in sé la persona del primo uomo. Sappiamo infatti - ce lo dice l'Apostolo - che il vecchio nostro uomo è stato crocifisso con lui sulla croce 74. Ma non saremmo liberati dalla vecchiezza, se essa non fosse crocifissa nella sua debolezza. Per questo è venuto, affinché siamo rinnovati in Lui, perché ci rinnoviamo desiderandolo ed imitando la Passione di Lui. Dunque quella era la voce della debolezza, era la voce nostra, con la quale è stato detto: Perché mi hai abbandonato? In questo senso ha detto: Le parole dei miei peccati 75, come se dicesse: Queste sono le parole che sono state trasferite in me dalla persona del peccatore. Non ti allontanare da me.

Accorri in mio aiuto, o Signore della mia salvezza.
Intende in adiutorium meum: Domine Deus salutis meae.

28. [v 23.] Accorri in mio aiuto, o Signore della mia salvezza. Questa è la salvezza, o fratelli, della quale hanno parlato i Profeti, come dice l'apostolo Pietro, e non l'hanno ottenuta coloro che l'hanno cercata; ma l'hanno ricercata e preannunziata, e noi siamo venuti ed abbiamo trovato ciò che essi hanno cercato 76. Ma ecco che anche noi non ancora l'abbiamo ricevuta; e nasceranno altri dopo di noi, e troveranno ciò che neppure essi riceveranno, e passeranno; per cui tutti insieme alla fine del giorno, con i Patriarchi e i Profeti e gli Apostoli, riceviamo la mercede della salvezza. Sapete infatti che gli operai a giornata condotti alla vigna in tempi diversi tuttavia ricevettero la stessa mercede 77. Dunque anche i Profeti, gli Apostoli, i Martiri e noi, e coloro che vivranno dopo di noi sino alla fine dei secoli, riceveremo alla fine la salvezza eterna, in modo che, contemplando la gloria di Dio e vedendo il suo volto, Lo loderemo in eterno, senza difetto, senza castigo d'iniquità, senza perversità di peccato, lodando Dio non più sospirando ma stretti a Lui, al quale sino alla fine abbiamo anelato, e nella speranza ci siamo rallegrati. Saremo infatti in quella Città dove il nostro bene è Dio, la luce è Dio, il pane è Dio, la vita è Dio; e qualsiasi nostro bene, per il quale ci affatichiamo nel pellegrinaggio, troveremo in Lui. In lui sarà la pace, di cui ora dobbiamo ricordarci dolendoci della sua assenza. Ricordiamoci di quel Sabato, nel cui ricordo sono state dette tante cose e tante dobbiamo dire, e dicendole non dobbiamo mai tacere, non con la bocca, ma con il cuore, perché appunto dobbiamo tacere con la bocca per poter gridare col cuore.

Note
1 - Sal 37, 19.
2 - Mt 15, 26.
3 - Cf. Rm 1, 3.
4 - Cf. Mt 5, 5.
5 - Mt 25, 41 42.
6 - 1 Cor 3, 12 15.
7 - Gn 2, 17.
8 - 9 Ef 2, 3.
9 - Rm 8, 23.
10 - Rm 8, 24 25.
11 - Rm 8, 23.
12 - Cf. Gb 6, 4.
13 - Ct 2, 5; 5, 8.
14 - Cf. 1 Cor 15, 53.
15 - 1 Pt 2, 22.
16 - Ef 5, 30.
17 - Mt 27, 46.
18 - Sal 21, 2.
19 - Sal 21, 19.
20 - Mt 27, 46.
21 - Ef 5, 31 32.
22 - Mt 19, 4-6.
23 - Mt 25, 42-45.
24 - At 9, 4.
25 - Sir 10, 14.
26 - Cf. Sal 7, 17.
27 - 2 Cor 2, 15.
28 - Ct 1, 3.
29 - Cf. Lc 13, 11.
30 - Sap 9, 15.
31 - Cf. 1 Cor 2, 8.
32 - Gv 14, 8.
33 - Gv 14, 9.
34 - Gv 14, 21.
35 - e appresso Sal 30, 23.
36 - 2 Cor 12, 2-4.
37 - Cf. 1 Cor 15, 50.
38 - Cf. Mt 6, 6.
39 - 1 Ts 5, 17.
40 - Mt 24, 12.
41 - Mt 5, 44; Lc 6, 27.
42 - Cf. Gn 3, 8.
43 - Cf. 1 Cor 15, 45.
44 - Gv 14, 21.
45 - 1 Gv 3, 2.
46 - 2 Cor 5, 6 7.
47 - Rm 8, 25.
48 - Sal 18, 13 14.
49 - Mt 20, 22.
50 - Mt 22, 16.
51 - Cf. Gv 2, 25.
52 - Mt 22, 18.
53 - Is 29, 13.
54 - Cf. Mt 26, 70.
55 - Gv 21, 17.
56 - Sal 141, 5.
57 - Cf. Mt 26, 59 60.
58 - Is 53, 9.
59 - Mt 28, 13.
60 - Mt 23, 13.
61 - Is 53, 7.
62 - Gal 6, 1.
63 - Sal 12, 5.
64 - Prv 3, 11 12.
65 - Cf. Rm 8, 32.
66 - Cf. 1 Pt 2, 22.
67 - Gb 1, 21.
68 - Sal 143, 12-15.
69 - Dt 21, 23.
70 - Cf. Gal 3, 10.
71 - Gn 2, 17.
72 - Rm 8, 34.
73 - Mt 27, 46, Sal 21, 2.
74 - Rm 6, 6.
75 - Sal 21, 2.
76 - Cf. 1 Pt 1, 10-12.

77 - Cf. Mt 20, 9.

OMOSESSUALITÀ E VERITÀ DEL VANGELO: VERSO UNA EFFICACE CURA PASTORALE (di Robert A. Gahl, Jr.)

1. Amore umano e sessualità.
«Non è bene che l'uomo sia solo» (Gn 2, 18). Con queste parole il libro della Genesi introduce la creazione di Eva, la prima donna. Il racconto ispirato della creazione spiega l'origine della differenza fra uomo e donna indicando che gli esseri umani, creati ad immagine e somiglianza di Dio (cfr Gn 1, 26), sono chiamati ad una comunione d'amore. Secondo il racconto della Genesi, la complementarità fra uomo e donna, un riflesso dell'«interiore unità del Creatore», è orientata a questa comunione (1).
Sin dalla creazione dei nostri progenitori, le relazioni sessuali hanno sempre avuto il significato di essere una fondamentale espressione dell'amore umano al servizio della fecondità nella famiglia e dell'unità fra marito e moglie. La Chiesa pertanto «celebra nel sacramento del matrimonio il disegno divino dell'unione amorosa e donatrice di vita dell'uomo e della donna» (2). Di conseguenza, in concordanza con la legge naturale, la Chiesa insegna che ogni uso della facoltà sessuale al di fuori della relazione coniugale è immorale e quindi può solo condurre alla frustrazione ed alla separazione piena di rimorso dal Creatore Divino.

Robert A. Gahl, Jr. - Pontificia Università della Santa Croce
2. Omosessualità: definizione e valutazione
Quando Adamo ed Eva abusarono della loro libertà disobbedendo a Dio, essi commisero il peccato originale che ferì la natura umana. Gli effetti del peccato originale sono sperimentati da ciascuno di noi. Il peccato oscura la somiglianza dell'uomo con Dio, offusca la nostra percezione del significato sponsale del corpo umano, e rende difficile il permanente e non egoistico amore fra marito e moglie (3). A motivo del peccato originale, la natura umana è ferita nelle sue proprie forze naturali ed è inclinata al peccato (4).
L'omosessualità è una delle molte manifestazioni del disordine nelle inclinazioni umane introdotto dal peccato originale. L'omosessualità è la condizione di coloro «che provano un'attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso» (5). Come ogni altro disordine introdotto dalle conseguenze di tale peccato nella natura umana, l'esperienza delle inclinazioni omosessuali è una provocazione al combattimento spirituale (6). La Chiesa distingue fra tendenze e attuazione di queste tendenze. La Chiesa pertanto distingue anche fra persone che sperimentano tentazioni omosessuali e atti omosessuali. Uomini e donne che sperimentano inclinazioni sessuali orientate predominantemente verso membri dello stesso sesso sono considerate persone omosessuali. Gli atti sessuali volontari, od ogni forma di contatto sensuale per una gratificazione sessuale, fra persone dello stesso sesso è considerata attività omosessuale. Mentre il peccato originale è la causa remota dall'omosessualità, la causa prossima sembra essere una combinazione di vari fenomeni non totalmente spiegati dalla scienza.
Dal momento che contraddicono il piano del Creatore, gli atti omosessuali sono intrinsecamente disordinati. Chiunque acconsenta liberamente ad una pratica omosessuale è personalmente colpevole di peccato grave (7). L'attività omosessuale annulla il ricco simbolismo, significato e fine presente nel disegno del Creatore. Nella sua intrinseca sterilità esso contraddice la vocazione ad una vita di auto-donazione nell'amore espressa dall'unione complementare coniugale fra uomo e donna (8). L'attività omosessuale manca della finalità essenziale indispensabile per la bontà morale degli atti sessuali. La Sacra Scrittura condanna l'attività omosessuale come una seria depravazione e addirittura «come la triste conseguenza del rifiuto di Dio» (9) (cfr. Rm 1, 24-27). La Chiesa aiuta le persone omosessuali a lottare coraggiosamente contro inclinazioni disordinate e a conformarsi allo splendore della verità che si trova in Gesù Cristo (cfr. Gv 14, 6). «Quando respinge le dottrine erronee riguardanti l'omosessualità, la Chiesa... difende la libertà e la dignità della persona» (10). L'armonia sociale dipende, in parte, dalla realizzazione corretta del mutuo sostegno e complementarità fra i due sessi, motivo per cui la Chiesa non può appoggiare una legislazione civile che protegga «un comportamento al quale nessuno può rivendicare un qualsiasi diritto» (11). Mentre si oppone ai rapporti omosessuali, la Chiesa anche difende le persone omosessuali da quelle forme di discriminazione che sono ingiuste (12) e cerca di aiutarle a trovare gioia e pace nel vivere la virtù della castità. Coloro che soffrono per inclinazioni omosessuali non sono necessariamente responsabili della loro condizione. Nessuno dovrebbe giudicare tali persone come inferiori. La lunga esperienza della Chiesa dimostra che con l'aiuto della grazia di Gesù Cristo, la recezione frequente dei sacramenti della Riconciliazione e della Santa Eucaristia, l'impegno ascetico, e – in taluni casi - una terapia medica, essi possono evitare il peccato e fare progressi nel cammino verso la santità. Tutti devono lottare per compiere ciò che è giusto, ed è solo con la grazia di Dio e con un grande sforzo che uomini e donne riescono a realizzare la loro propria perfezione interiore. La Chiesa riconosce l'eguale dignità di tutte le persone ed offre un'accoglienza materna a coloro che sperimentano inclinazioni omosessuali. Allo stesso tempo la Chiesa condanna in modo assoluto ogni malizia in parole o azioni nei confronti di persone omosessuali ed insegna che tale comportamento mette in pericolo i principi più fondamentali di una sana società. Di conseguenza la Chiesa insegna che la legge umana dovrebbe promuovere il rispetto per la dignità intrinseca di ogni persona (13).

3. Orientamenti per una pastorale delle persone omosessuali
Nella sua azione pastorale la Chiesa apre le sue braccia a tutti gli uomini e a tutte le donne. «La Chiesa è il luogo in cui l'umanità deve ritrovare l'unità e la salvezza» (14). «Ogni salvezza viene da Cristo-Capo per mezzo della Chiesa che è il suo Corpo» (15). Con iniziativa creativa motivata dalla carità, e senza alcun timore, il fedele cristiano esprime il paterno amore di Dio per tutti andando alla ricerca di ciascuno e venendo incontro al suo desiderio di salvezza. Convinta che la perfezione salvifica della libertà umana può essere trovata solo nella verità di Gesù Cristo, la Chiesa deve sempre proclamare coraggiosamente la morale cristiana, anche quando incontra opposizione o, in casi estremi, persecuzione e martirio (16).
Pertanto, ogni impegno pastorale o apostolato a favore delle persone omosessuali dovrebbe adempiere alle seguenti condizioni.
1) Il rispetto per l'eguale dignità delle persone omosessuali esige di riconoscere che le azioni peccaminose, come gli atti omosessuali, ledono la dignità umana. I ministri della Chiesa perciò devono vigilare perché nessuna persona omosessuale loro affidata sia fuorviata dalla diffusa opinione erronea che l'attività omosessuale è una inevitabile conseguenza della condizione omosessuale (17).
2) Per essere efficace, autentica e fedele, ogni cura pastorale di persone omosessuali deve far conoscere la grave peccaminosità del comportamento omosessuale. Senza respingere nessuna persona di buona volontà, la pastorale per i fedeli omosessuali deve comunicare, quanto prima possibile, le esigenti ma attraenti condizioni della verità morale. Dal momento che alcune persone possono sentirsi respinte dalla Chiesa, la cura pastorale delle persone omosessuali raggiunge i maggiori risultati quando le aiuta a riconoscere che la Chiesa le accetta come persone, mentre le aiuta a comprendere l'insegnamento della Chiesa.
3) Con il loro sforzo di vivere secondo il Vangelo, le persone omosessuali raggiungono la pace e il dominio delle loro tendenze disordinate. Essi sono incoraggiati ad imparare che con l'amore di Cristo, «possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana» (18). Ogni attività pastorale con le persone omosessuali dovrebbe pertanto privilegiare l'impegno ascetico personale, la generosa accettazione della volontà di Dio, il riconoscimento di essere un figlio di Dio, e l'unione delle proprie sofferenze e difficoltà al sacrificio della croce del Signore (19). Con una comprensione ricca di compassione la cura pastorale della Chiesa dovrebbe incoraggiare il fedele omosessuale a sperare nella potenza della risurrezione del Signore, con la fiducia che lo Spirito Santo produrrà in loro «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé» (Gal 5, 22). Così come San Paolo scrive ai Galati, «ora quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri» (Gal 5, 24). Le persone omosessuali pertanto dovrebbero far uso dei mezzi sperimentati per crescere nella virtù della castità, fra cui la frequente recezione dei sacramenti della Penitenza e della Santa Comunione.
4) L'autenticità della pubblica proclamazione del Vangelo da parte della Chiesa deve essere garantita dall'assicurazione che tutti coloro che sono impegnati nella pastorale delle persone omosessuali, specialmente il clero ed i religiosi, siano personalmente convinti della dottrina della Chiesa e pronti a professare la dottrina della Chiesa come la loro propria. L'affidabilità pubblica dei ministri della Chiesa esige che essi credano e professino gli insegnamenti della Chiesa. Per attirare nuovi membri alla Chiesa si esigono convinzioni personali ferme ed impegno. Un'efficace pastorale in favore delle persone omosessuali, anche con quelle che possono sentirsi emarginate dalla Chiesa, esige prontezza nel comunicare la dottrina morale della Chiesa con un'adesione personale. La riluttanza nell'esprimere la totalità della morale cristiana soltanto danneggia la cura pastorale delle persone omosessuali e pertanto reca loro una grave ingiustizia.
5) Ogni impegno pastorale pubblico nei confronti delle persone omosessuali dovrebbe essere fatto in stretta unità e sotto la guida del Vescovo locale allo scopo di garantire che la pastorale rifletterà sempre la pienezza della dottrina cattolica.
6) La pastorale nei confronti delle persone omosessuali non dovrebbe mai rifuggire dal proclamare la verità per timore di critiche, e dovrebbe parlare coraggiosamente contro la pretesa che la condanna dell'attività omosessuale sia una specie di discriminazione ingiusta delle persone omosessuali o una violazione dei loro diritti (20). Coloro che accettano la condizione omosessuale come se non fosse disordinata e legittimano gli atti omosessuali «sono mossi da una visione opposta alla verità sulla persona umana, che ci è stata pienamente rivelata nel mistero di Cristo» (21). Anche se non se ne rendono conto, la loro approvazione dell'omosessualità riflette «una ideologia materialistica, che nega la natura trascendente della persona umana, così come la vocazione soprannaturale di ogni individuo» (22).
7) Per evitare malintesi o confusioni, la pastorale in favore delle persone omosessuali deve sempre essere totalmente indipendente da ogni gruppo che favorisca uno stile di vita «gay» o pretenda che la condizione omosessuale sia equivalente o in qualche modo superiore alla castità vissuta nel matrimonio o nel celibato. Gli operatori pastorali impegnati a favore delle persone omosessuali non dovrebbero associarsi con organizzazioni che promuovano mutamenti nella legislazione civile che offuschino il riconoscimento giuridico del matrimonio e della famiglia equiparandovi le unioni omosessuali (23).

La Chiesa è consapevole della responsabilità di dover conservare il dono inestimabile della Rivelazione e di doverlo difendere contro ogni influenza nefasta. I programmi pastorali, quando sono intrapresi in conformità con la verità della Rivelazione, contribuiscono al benessere umano e spirituale delle persone omosessuali, ed all'integrità della società. Non si deve mai dimenticare che «ogni allontanamento dall'insegnamento della Chiesa, o il silenzio su di esso, nella preoccupazione di offrire una cura pastorale, non è forma né di autentica attenzione né di valida pastorale. Solo ciò che è vero può ultimamente essere anche pastorale. Quando non si tiene presente la posizione della Chiesa si impedisce che uomini e donne omosessuali ricevano quella cura, di cui hanno bisogno e diritto» (24).

Note:
1) Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera Homosexualitatis problema (1 ottobre 1986), 6.
2) Homosexualitatis problema, 7.
3) Cfr. Homosexualitatis problema, 6.
4) Catechismo della Chiesa Cattolica, 405
5) Catechismo della Chiesa Cattolica, 2357.
6) Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 405.
7) Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2396.
8) Cfr. Homosexualitatis problema, 7.
9) Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Persona humana, 8.
10) Homosexualitatis problema, 7.
11) Homosexualitatis problema, 10.
12) Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2358. Tuttavia «vi sono ambiti nei quali non è ingiusta discriminazione tener conto della tendenza sessuale: per esempio, nella collocazione di bambini per adozione o affido, nell'assunzione di insegnanti o allenatori di atletica, e nel servizio militare» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non-discriminazione delle persone omosessuali, in: L'Osservatore Romano, 24 luglio 1992, 11).
13) Cfr. Homosexualitatis problema, 10.
14) Catechismo della Chiesa Cattolica, 845.
15) Catechismo della Chiesa Cattolica, 846.
16) Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Veritatis splendor, 91.
17) Cfr. Persona humana, 8.
18) Catechismo della Chiesa Cattolica, 2359.
19) Cfr. Homosexualitatis problema, 12.
20) Cfr. Homosexualitatis problema, 9.
21) Cfr. Homosexualitatis problema, 8.
22) Cfr. Homosexualitatis problema, 8.
23) Cfr. Homosexualitatis problema, 9.
24) Cfr. Homosexualitatis problema, 15.

Omosessualità e verità del Vangelo: verso una efficace cura pastorale
ROBERT A. GAHL, Jr. - Pontificia Università della Santa Croce
Pubblicato in L'Osservatore Romano, 15 luglio 1999
Ristampato in Antropologia cristiana e omosessualità. Nuova edizione ampliata Città del Vaticano : L'Osservatore Romano, 2000. Quaderni de "L'Osservatore Romano", pp. 134-140