sabato 28 febbraio 2015

GLI AMICI SI TOCCANO (di don Fabio Bartoli)


Leggete questa pagina dal Signore degli Anelli, è il momento emozionante in cui Sam ritrova Frodo che credeva essere stato ucciso dagli orchi:

“Era nudo, e giaceva come privo di sensi su di un cumulo di luridi cenci: teneva alto il braccio, coprendosi la testa, e sul suo fianco vi era una brutta ferita da frusta. «Frodo! Caro signor Frodo!», gridò Sam quasi accecato dalle lacrime. «Sono Sam, sono arrivato!». Sollevò leggermente il padrone stringendoselo al petto. Frodo aprì gli occhi.

«Allora non stavo sognando quando udii cantare laggiù e cercai di rispondere. Eri tu?»

«Ero proprio io, signor Frodo, avevo quasi perduto la speranza. Non riuscivo a trovarvi.»

«Ebbene, ora ci sei riuscito, Sam, caro Sam» disse Frodo, appoggiandosi alle sue braccia e chiudendo gli occhi come un bambino i cui incubi notturni sono stati allontanati da una mano o da una voce amata.

Sam sentì che avrebbe potuto rimanere per sempre così, in un’eterna felicità; ma non era permesso. Non era sufficiente per lui aver ritrovato il padrone, doveva ancora cercare di salvarlo.”

Un’emozione così intensa, descritta da Tolkien con una vivacità imbarazzante, non può che essere comunicata con il tatto, nessun altro dei sensi offre strumenti adeguati a lasciar passare tanto amore. E infatti anche Frodo e Sam si abbandonano in questo lungo abbraccio che avrebbe potuto essere, dice Tolkien, per sempre.

Non trovate imbarazzante una manifestazione di sentimenti così aperta? Non c’è qualcosa di eccessivo, di patetico? Ma dai, l’abbraccio di un amico che diventa un momento di felicità eterna? D’accordo, non è un momento qualunque, anzi è forse il momento più alto di questa bellissima storia di amicizia che è il Signore degli Anelli, e tuttavia credo che al nostro gusto moderno queste parole possano suonare melense, quasi imbarazzanti, come se esponessero una parte di noi che preferiremmo tenere nascosta. Tanto che non manca chi interpreta l’amicizia tra Frodo e Sam in chiave omosessuale.

A me sembra che la gente abbia sviluppato una sorta di fobia del contatto fisico. Sarà perché passiamo ore e ore pressati come sardine nella Metro, abbracciati a perfetti sconosciuti, sarà perché le emozioni forti ci fanno paura e le desideriamo al tempo stesso, sarà per una sorta di pansessualismo imperante, per cui ogni contatto fisico viene interpretato in chiave erotica, sarà perché non siamo più capaci di immaginare un amore che non sia possesso, che non voglia in fin dei conti soddisfarsi con l’altro, ma mi sembra che nessuno più si faccia toccare volentieri. Specialmente tra maschi. Le donne tutto sommato ancora si toccano abbastanza tra loro, probabilmente perché più di noi sono in contatto con i loro sentimenti. Così, ad esempio, non sarà strano vedere due donne tenersi per mano, molto più raro vederlo fare a due uomini.

Credo che questo abbia a che fare con l’idea che la manifestazione dei sentimenti sia una debolezza, se alle donne quindi è concesso “in default” di apparire deboli, l’uomo non può permetterselo mai. L’uomo è un guerriero, un combattente, non dovrebbe perdere tempo in queste frivolezze…

Ma chi l’ha detto che deve essere per forza così? Chi l’ha detto che mostrare i propri sentimenti è segno di debolezza? A me al contrario sembra un segno di grande forza e sicurezza interiore. È vero, chi va incontro all’altro a braccia aperte si rende feribile, chi offre una carezza rischia di ricevere una pugnalata in cambio, ma proprio per questo chi fa il primo passo mostra di non avere paura, chi si rende feribile mostra di non temere le ferite. Solo chi è davvero umile sa mostrare la propria fragilità perché pensa di non aver niente da perdere.

Ma il male maggiore che la perdita del contatto porta con sé è la perdita della tenerezza e questo mi sembra essere il problema vero delle nostre relazioni; di niente il nostro tempo ha bisogno come della tenerezza. È sempre più evidente infatti che un mondo spietato, regolato solo da rapporti di forza ha costruito una società disumana, inadatta alla vita. La vera profezia è stabilire rapporti nuovi, basati sulla debolezza e quindi sull’esaltazione dell’altro. Perché a questo mira la tenerezza, alla promozione dell’altro, a dirgli “tu sei prezioso, tu vali”. È indispensabile allora che gli amici ricomincino a toccarsi.

La tenerezza è per me la virtù più tipica e completa dell’uomo maturo, di chi è padrone dei propri sentimenti e non ha vergogna di mostrarli. Per dare tenerezza infatti occorre essere ben integrati in se stessi, bisogna aver spento in sé ogni egoismo e ogni violenza, altrimenti la nostra tenerezza non sarà credibile e verrà percepita come una forma raffinata di seduzione (e quindi in ultima analisi come una manipolazione, una forma di violenza). Dobbiamo scoprire la debolezza come valore, come opportunità e non come deficit, o non è forse vero ciò che dice Paolo: “quando sono debole è allora che sono forte”? Oppure “Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti”? E non è questa alla fin fine la grande profezia del Magnificat “Deposuit potentes et exaltavit humiles”?

Forse dipende dal fatto che siamo abituati ad una concezione intrusiva del contatto fisico, non rispettosa dell’altro e così ci sembra che chi ci tocca in qualche maniera voglia violare la nostra privacy e la nostra intimità, che il contatto esprima non tenerezza, ma potere, ma dobbiamo imparare a vincere le nostre paure se vogliamo riscoprire e godere di questa dimensione fondamentale dell’amore e dell’amicizia che è la tenerezza.

Non ogni contatto è sinonimo di possesso, così come il piacere di toccare ed essere toccati non è necessariamente un piacere sessuale. Toccare una persona amata, di qualsiasi amore, è sempre bello, perché dice il reciproco esserci, l’essere-uno-per-l’altro nella relazione, non ci si deve sentire in colpa se si prova piacere ad amare ed essere amati, perché siamo fatti per questo, l’uomo esiste per l’amore e se l’uomo è corpo la manifestazione dell’amore non potrà che passare attraverso il corpo.

Il male non consiste mai nel piacere, anzi, il piacere è in se stesso divino. Perfino il catechismo di S. Pio X dice che ultimamente siamo stati creati per godere e per godere di Dio addirittura, l’esperienza di Dio cioè è vista come il vertice del piacere! Il male semmai consiste nell’egoismo, cioè nella volontà di impossessarsi del piacere, finendo con l’usare l’altro come un oggetto finalizzato al mio godimento, e da questo punto di vista perfino Dio può essere trasformato in oggetto e la preghiera mutarsi in una sorta di raffinato autoerotismo. Questo avviene quando al centro non c’è più il Tu di Dio, ma la ricerca del proprio benessere spirituale.

Tornando al contatto quindi il problema non è di per sé il toccarsi, ma quando questo toccarsi non è “sensato”, quando cioè esprime qualcosa di diverso dall’amicizia. Così, ad esempio, sarebbe senza senso un contatto tra amici che coinvolgesse l’area genitale. Così ad esempio Sam e Frodo non si abbandonano alla dolcezza di quell’abbraccio, ma subito ritornano al loro compito, a quella missione che li unisce.

Come spesso accade con le fobie, però, l’oggetto temuto è anche l’oggetto desiderato, perché ciò che temiamo in effetti non è il contatto in sé, ma le emozioni che scatena dentro di noi, temiamo di non essere capaci di gestirle, di controllarle. Accade così che più ci neghiamo i contatti fisici, più le emozioni che ci provocano diventeranno violente e difficili da gestire. È come per il sesso: il moralismo in realtà agisce da amplificatore sul desiderio. Così proprio per imparare ad avere un rapporto sereno con la propria fisicità è bene abituarsi ai contatti fisici, esprimerli senza paura, purché siano sensati. Abbracci, carezze e altre forme di contatto diventeranno così via via più naturali e spontanei tra amici. Quando non hanno più paura della tenerezza gli amici amano toccarsi, perché amano condividere anche le proprie fragilità.

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