mercoledì 4 dicembre 2013

GESTIRE LA PROPRIA COLLERA PER VIVERE MEGLIO (di padre Gilles Jeanguenin)

Gestire la rabbia incontrollata
La collera, che sia esplosiva o soffocata e interiorizzata, è un’emozione che, senz’altro, noi tutti conosciamo. In ogni momento della vita, infatti, corriamo il rischio di «perdere le staffe», cioè il controllo delle pulsioni emotive, quando siamo a contatto con le molte irritazioni e contrarietà che incontriamo nella quotidianità.

A poco a poco la collera s’innesca: all’inizio ribolle come l’acqua in una pentola a pressione; poi, all’improvviso, esplode al minimo pretesto. La collera è spesso una bomba a scoppio ritardato!

Il sentimento della collera nasce in seguito a ferite e aggressioni personali, arrecateci dagli altri o dagli eventi. Non appena ci sentiamo aggrediti, o vittime di qualche ingiustizia, ci ribelliamo e lasciamo esplodere la nostra collera.

Quando lasciamo che la nostra collera si sfoghi, eleviamo barricate per proteggerci e per rassicurarci di fronte a comportamenti minacciosi, aggressivi o ingiusti. Ad esempio, chi è vittima di calunnie si arrabbierà quando verrà a sapere le nefandezze che sono state dette su di lui, e ciò è perfettamente comprensibile! Quella collera, però, una volta espressa, gli fornirà tutte le potenzialità di cui avrà bisogno per difendersi e superare le proprie paure: questa collera, detta positiva, permette di superare l’esperienza traumatizzante e di staccarsi dalla morsa dell’aggressore.

In molte circostanze, però, le offese subite alimentano desideri di vendetta: in questo caso, è la collera negativa a esprimersi. Tale animosità, mescolata all’odio, fa affondare maggiormente il cuore dell’uomo nella propria sofferenza: questa collera esplosiva, che nessuno riesce più a contenere, può, infatti, istigare a commettere atti gravissimi, quali violenze, e persino omicidi.

La collera, che non scoppia senza motivo, sorge nel momento in cui si rompe un equilibrio interiore; quando dobbiamo confrontarci con insoddisfazioni o frustrazioni, o quando ci riteniamo vittime d’ingiustizie. Siccome idealizziamo facilmente quelli che amiamo e veneriamo, capita che questa ammirazione trasformi in profonda delusione, quando costoro non corrispondono più all’idea che ci siamo costruiti di loro. Tale frustrazione, che accresce i nostri risentimenti, è sufficiente a innescare una reazione di collera. Se, tuttavia, lasciamo crescere in noi la collera e non la reprimiamo sul nascere, essa diventerà presto incontenibile, irrefrenabile e devastante nei suoi effetti: rancori, inimicizie, antipatie eccetera.

Nella dinamica di una psicoterapia di gruppo si invitano i pazienti a sentire e a esternare le proprie emozioni, tra cui la collera. Perciò, non è raro trovarsi a rivivere scene violente, in cui i pazienti si mettono a urlare, a piangere, a gesticolare per liberare tutta la rabbia, l’odio e l’angoscia che hanno accumulato in se stessi. Queste tecniche emozionali, condotte da specialisti competenti, dimostrano la loro efficacia nel liberare il paziente da blocchi e frustrazioni.

Se esprimere la propria collera è un passo necessario, almeno all’inizio di un processo di guarigione interiore, invece la collera cronica, quella che rinchiude la persona nel proprio odio, è un impedimento alla guarigione.

Cercare la giustizia per se stessi è diritto di tutti, a condizione, tuttavia, che non si entri nel ruolo di vittima o in quello di giustiziere. L’aggressività, la violenza e la collera – che ci stremano e ci rendono così infelici – possono essere contrastate nel praticare la virtù contraria, cioè: la dolcezza e la pazienza. Giungeremo alla pacificazione e alla serenità del cuore, soltanto se perdoniamo e preghiamo per la persona che ci ha fatto soffrire. Questa dolcezza, che penetra in noi stessi, non sarebbe quel « coraggio senza violenza, quella forza senza durezza e quell’amore senza collera » di cui parla un noto filosofo francese, A. Comte-Sponville?

Non allontaniamoci mai dal santo amore di Dio, e custodiamo preziosamente in noi quella dolcezza di cuore che era così cara a nostro san Francesco di Sales. Nella corrispondenza con una religiosa della Visitazione, scriveva: «Siate buona col prossimo e, a dispetto degli scatti di collera che provate, pronunziate molto spesso queste divine parole del Salvatore: Signore, Padre eterno, io amo il prossimo perché lo ami tu, e tu me lo hai dato perché avessi in esso dei fratelli e delle sorelle, e tu vuoi che, come tu lo ami, così lo ami anch’io (1) ».


© Padre Gilles Jeanguenin  - Cf. Guarire le ferite dell’anima con san Francesco di Sales, Paoline Milano 2011, pp. 87-100.

martedì 3 dicembre 2013

TARDI T'AMAI (di Sant'Agostino d'Ippona)

Sant'Agostino d'Ippona
Tardi t’amai, bellezza così antica, così nuova,
tardi t’amai!
Ed ecco, tu eri dentro di me
ed io fuori di me ti cercavo e mi gettavo
deforme sulle belle forme della tua creazione…
Tu hai chiamato e gridato,
hai spezzato la mia sordità,
hai brillato e balenato,
hai dissipato la mia cecità,
hai sparso la tua fragranza
ed io respirai,
ed ora anelo verso di te;
ti ho gustata ed ora ho fame e sete,
mi hai toccato, ed io arsi
nel desiderio della tua pace

S. Agostino, Le Confessioni, X, 27