martedì 15 gennaio 2013

LA GIUSTA CONDANNA DI QUESTA ABOMINEVOLE INFAMIA (di san Pier Damiani)

San Pier Damiani Liber Gomorrhianus XVII

Questo vizio certamente non è affatto paragonabile a nessun altro vizio, poiché supera in gravità tutti gli altri vizi. Infatti, questo vizio è la morte dei corpi, la rovina delle anime. Contamina la carne, spegne la luce della mente. Scaccia lo Spirito Santo dal tempio del petto umano, introduce il diavolo istigatore della lussuria, fa sbagliare, sradica la verità dalla mente che è stata ingannata. Prepara tranelli per chi entra e a chi è caduto nella fossa, la ostruisce perché non esca. Apre l'inferno e chiude la porta del Paradiso. Fa del cittadino della Gerusalemme celeste l'erede della Babilonia infernale. Fa di una stella del cielo la stoppia del fuoco eterno. Lacera il corpo della Chiesa e lo getta nel fuoco della bollente Geenna. Questo vizio cerca di abbattere i muri della patria suprema e si affanna a riparare le mura della rinata Sodoma bruciata. Questo vizio viola la sobrietà, soffoca la pudicizia, massacra la castità, trucida con la spada del terribile contagio la verginità irrecuperabile. Deturpa tutte le cose, macchia tutto, contamina tutto. Nulla di ciò che lo circonda rimane puro, lontano dalla lordura, pulito. «Tutto è puro per i puri, per coloro invece che sono contaminati e infedeli, niente è puro» [Tt 1,15].

Questo vizio allontana dalla comunità ecclesiastica e relega a pregare con i pazzi e con quelli che lavorano per il demonio; separa l'anima da Dio per unirla ai demoni. Questa nocivissima regina dei Sodomiti crea seguaci delle sue leggi tiranniche, luridi per gli uomini e odiosi per Dio. Ordina di intrecciare guerre scellerate contro Dio e al militante di portare il peso di un'anima pessima. Allontana dalla comunione degli angeli e imprigiona l'anima infelice sotto il giogo del proprio dominio grazie al suo potere. Spoglia i suoi militari delle armi virtuose e li espone ai dardi dei vizi perché ne siano trafitti. Umilia nella chiesa, condanna nella legge. Deturpa in segreto e disonora in pubblico.

Rosicchia la coscienza come un verme, brucia la carne come il fuoco. Brama che il desiderio si sazi e, al contrario, teme che non si faccia vedere, che non esca in pubblico, che non si divulghi fra gli uomini. [...]Arde la misera carne per il furore della libidine, trema la mente sciocca a causa del rancore del sospetto, nel petto del misero uomo già si solleva il caos infernale. Quanti sono quelli punti dagli aculei dei pensieri immondi, altrettanti sono quelli tormentati dai supplizi delle pene. Sono davvero infelici le anime dopo che questo velenosissimo serpente le ha morse. Toglie subito la facoltà di pensare, cancella la memoria, oscura l'acutezza della mente, fa dimenticare Dio e anche se stesso.

Questa peste infatti, annulla il sentimento della fede, infiacchisce la forza della speranza, cancella il vincolo della carità, toglie la giustizia, abbatte il coraggio, rimuove la temperanza, smussa l'acume della prudenza.

Cosa si può dire di più? Dal momento che allontana ogni angolo di virtù dal cuore umano e fa entrare ogni sorta di vizi, come se i catenacci delle porte fossero stati divelti? Sicuramente, la sentenza di Geremia si adatta a quella che, sotto l'aspetto terreno, viene chiamata Gerusalemme: «l'avversario ha steso la sua mano — dice — su tutti i suoi tesori; ha visto entrare i pagani nel suo santuario, coloro ai quali tu avevi ordinato che non entrassero nella tua assemblea» [Lam 1,10]. Senza dubbio, questa bestia atrocissima divora in un solo boccone con le sue fauci cruente, tiene lontano chiunque, con le sue catene, dalle opere buone, fa cadere precipitosamente giù per i dirupi dell'oscena perversità.

Presto, sicuramente, chiunque sia caduto in questo abisso della perdizione estrema sarà mandato via, come un esule, dalla patria suprema. Sarà separato dal corpo di Cristo, verrà allontanato dall'autorità di tutta la Chiesa, sarà condannato dal giudizio di tutti i Santi Padri, sulla terra verrà disprezzato dagli uomini, sarà respinto dall'abitazione dei cittadini celesti. Per lui il cielo diventerà di ferro e la terra di bronzo [Lv 26,19], né da lì può risollevarsi, gravato dal peso del delitto, né può qui nascondere a lungo i suoi mali nella tana dell'ignoranza. Qui non può godere finché vive, né lì sperare finché pecca, perché ora è costretto a sopportare l'obbrobrio dell'umana derisione e dopo il tormento dell'eterna dannazione. è evidente che a quest'anima si riferisce quella voce della lamentazione profetica in cui si dice: «Vedi, Signore, che angoscia è la mia, le mie viscere fremono, il mio cuore è sconvolto in me, perché sono stata ribelle: fuori la spada uccide, in casa è come la morte» [Lam 1,20]


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